mercoledì 21 novembre 2012

Diventare grandi Primo capitolo



Titolo: Diventare grandi

Pairing: Diego – Michele

Au

I personaggi sono di mia creazione, ho solo preso in prestito i nomi.

Rating: Per ora nessuno

giovedì 6 settembre 2012

Sollievo



Pairing: Miguel Alvarez - Jan Maybach
Squadra speciale Lipsia
Storyline: Nessuna in particolare
Rating: PG 13
I personaggi non mi appartengono e la fic è scritta per pure divertimento


La stanza era immersa nell’oscurità. Steso sul letto, Miguel aveva perso il conto del tempo trascorso nel dormiveglia. Il dolore gli rendeva impossibile chiudere occhio o assumere una posizione comoda. Si voltò sul fianco destro, ma un improvviso bruciore gli strappò un lamento. Le spalle, il petto e la schiena completamente ustionati e spellarti, tanto che qualunque tocco, perfino il leggero lenzuolo di cotone gli procurava un intenso dolore. 
“Jan” mormorò con un filo di voce.
Non ottenendo risposta imprecò, ma in quel momento la porta si aprì. Jan fece capolino, un bicchiere d’acqua in una mano, mentre nell’altra un tubetto di pomata e pillole. Tentando di fare meno rumore possibile si avvicinò all’amico. Presa una sedia, si accomodò al suo capezzale accendendo una piccola lampada sul comodino. “Miguel”
“Jan, dov’eri?” aprì gli occhi scuri, ma cercò di ripararsi dalla luce.
“Scusa” la spense facendo ripiombare la stanza nel buio. “Come stai?”
“Ho sete” la gola era secca e la lingua gonfia.
Senza esitare, Jan gli porse un bicchiere d’acqua sollevandogli la testa. “Bevi piano, piccolo”
A fatica, Miguel ingoiò un sorso, sentendo immediatamente refrigerio. Se solo potessi averlo su tutto il corpo.
Jan gli sfiorò la fronte con le labbra e impietrì: era bollente. “Hai la febbre”
“Non dire sciocchezze! Ho solo bisogno di riposare, ma sto andando a fuoco, Jan” aprì finalmente gli occhi guardandolo. “Mi brucia… qui!” e si toccò il petto nudo.
“Lo so, ti ho portato una pomata” gli sorrise per rassicurarlo. “Anche degli antidolorifici”
Miguel si morse il labbro, detestava dovergli confessare di non riuscire neanche a stare steso, ma il dolore era talmente forte che allungò la mano. “Dammi!”
Una volta ingoiata la pillola, puntò gli occhi scuri sull’amico: “Grazie, non so che farei senza di te”
Mentre gli spalmava la crema, Jan si ritrovò a ripensare a tutto quello che era accaduto.

Quella mattina il caldo rendeva difficile restare al sole senza bagnarsi, ma Miguel sembrava non curarsene. Da ore era steso sul lettino, gli occhiali da sole sul naso e una bottiglia d’acqua sulla sabbia. Il desiderio di prendersi una bella tintarella da fare invidia ai colleghi una volta ritornato a Lipsia, lo rendeva spavaldo e sconsiderato. Accanto a lui, Jan sedeva, sotto l’ombrellone, su una sdraio, tra le mani un romanzo. Data la pelle chiara preferiva restare all’ombra, ma quando si arrischiava ad esporsi al sole, lo faceva solo dopo aver spalmato su tutto il corpo strati di crema solare a protezione totale.
Lo sguardo era però rivolto verso il collega e migliore amico. Non approvava la sua scelta di esporsi così tante ore al sole: “Mettiti la crema, Miguel!” esclamò con un tono autoritario. “Stai cominciando a spellarti!”
“Sei una barba, Jan!” sbuffò questi senza neanche degnarlo di uno sguardo. “Non sono Benny!” Gli occhiali a specchio celavano gli occhi scuri. “La crema la mettono le fanciulle o i ragazzini, non Miguel Alvarez!”
“Sei un idiota! Vuoi ustionarti o prenderti il cancro?” furono le successive parole dell’amico.
Toccandosi d’istinto tra le gambe, Miguel scattò seduto: “Che bastardo! Me la stai mandando?”

“Devo dirti come stanno le cose visto che tengo alla tua salute più di te!” replicò seccato il commissario più anziano.

Le spalle di Miguel erano ormai di un rosso acceso e anche il naso cominciava ad apparire come un piccolo pomodoro. Nonostante le origini spagnole e la carnagione più scura rispetto a quella dei tedeschi, la sua pelle era ugualmente delicata. “Fatti gli affaracci tuoi, Mr Mozzarella!” ghignò maligno
“Vuoi arrostirti? Bene!” Jan si alzò in piedi. “Ma quando ti spellerai come un gamberetto non venire a piangere da me!” e si avviò verso il bagnasciuga.
“Dove vai?” Miguel lo fissò stranito.
“Lontano da te, zuccone che non sei altro” e marciò verso la riva.
Anche se arrabbiato con l’amico, Miguel non riuscì a staccargli gli occhi di dosso, il fondoschiena perfetto era coperto da un paio di boxer neri strettissimi. La gola si seccò e lo slip si tese. Imprecando per la reazione del suo corpo il giovane commissario cercò di guardare altrove e lo sguardo si posò su un gruppetto di ragazze che a loro volta sembravano divorare Jan quasi come se fosse un dolcetto tutto da gustare. Una brunetta dai capelli corti si lasciò anche andare a degli apprezzamenti nei suoi confronti. Solo quando Jan si fu tuffato, le ragazze tornarono a parlottare tra loro. Miguel borbottò seccato, ma combattuto tra la gelosia e la voglia di conquista, decise di farsi avanti. Alzatosi dal lettino si avvicinò. “Seniorite, buon giorno”
La biondina gli sorrise maliziosa, ammaliata di certo dal suo fisico. “Il biondino è amico tuo, vero? Perché non vi unite a noi?” gli domandò. Ghignando Miguel cacciò la lingua tra i denti, un minuscolo triangolino la copriva ben poco attirandolo come una calamita.
“Certo, bambolina” le sedette accanto porgendole la mano: “Miguel, per servirla”
“Che galante” ridacchiò lei “Io sono Dannika, mentre loro sono Annie, Michaela e Stefanie”
“Piacere di conoscervi, di dove siete belle fanciulle?” cominciò la sua opera di seduzione.
“San Francisco”
“Americane!” sorrise, gli occhi brillavano, non era mai stato con una ragazza a stelle e strisce. Il desiderio di non pensare a Jan, di fargliela pagare per quelle battutine e soprattutto per averlo fatto morire di paura all’idea di beccarsi il cancro, lo resero molto più audace.
“Vi fa di andare da qualche parte insieme? Conosco certi localini”
“Certo, bello. Ci divertiamo!” squittì la ragazza stringendosi a lui.
Miguel si leccò le labbra deliziato.


Fino all’ultimo Jan aveva sperato che Miguel si decidesse a seguirlo, ma come sempre era rimasto deluso. Si tuffò per l’ultima volta, poi tornò a riva sgrullandosi i capelli biondi. Appena messo un piede sulla sabbia si rese conto che Miguel non era più dove l’aveva lasciato. Aggrottando la fronte, lo cercò con lo sguardo e una volta che lo ebbe individuato, si pentì di essersi preoccupato. L’amico sedeva tra quattro ragazze, tutte molto carine e dall’aria di volersi divertire. Miguel stringeva la vita di una biondina, mentre un’altra gli stava appiccicata come se sul lettino non ci fosse spazio a sufficienza. Quell’immagine gli causò una reazione che non avrebbe mai pensato. Imprecò a denti stretti e calciò della sabbia prendendo in pieno una signora stesa a pochi metri da lui.
“Ehi!” sbottò quella per niente felice di essere investita da una pioggia di sabbia.
“Ehm, mi perdoni” mentalmente Jan decise che Miguel gliel’avrebbe pagata anche per quella figuraccia.
 Camminando con i pugni chiusi raggiunse l’ombrellone e ignorò volutamente il gruppetto che invece si era voltato verso di lui.
“Jan unisciti a noi!” lo invitò una bella mora dal seno prosperoso che aveva insistito per conoscere il nome del biondino.
Sentendosi chiamare si voltò di scatto, ma invece di guardare la ragazza puntò gli occhi chiari sull’amico che non sembrava molto felice di avere un rivale. A quel punto la decisione fu più che semplice: “Perché no!” e mostrando un sorriso falsissimo li raggiunse.
 “Non volevi restare all’ombra?” Miguel non era per niente felice di non essere più il centro della conversazione.
“Posso farlo anche stando qui!” replicò Jan deciso a rovinare tutti i suoi piani di conquista.
“Bastardo” mormorò il mezzo spagnolo tra i denti. “Lo fai apposta!”
“Di che stai parlando? Mi hanno invitato loro” e senza degnarlo di un altro sguardo, Jan sedette sotto l’ombrellone. La moretta si mise sul suo grembo.
Miguel imprecò mentalmente, ma dopo aver sbuffato per qualche secondo, attirò la biondona per sussurrarle qualcosa all’orecchio.
Jan lo incenerì con lo sguardo, poi ingoiando la bile che provava si dedicò alla ragazza sulle sue gambe.


Un gemito dell’amico fece ritornare Jan al presente. Lo preoccupava il suo stato, anche se in fondo, se l’era cercata. Lo aveva avvertito in tutti i modi di non esporsi troppo, ma cocciuto com’era Miguel aveva agito di testa propria. Jan aveva deciso di ignorarlo per il resto del pomeriggio, dedicandosi ad una deliziosa brunetta disponibile. Non perché gli interessasse. Voleva solo ripagarlo con la stessa moneta. Quello che aveva provato nel vedere Miguel con una ragazza lo turbava ancora. Si chiese se fosse gelosia o invidia. Lanciò uno sguardo al moro steso inerme sul lenzuolo umido e sospirò sollevato, si era finalmente appisolato.
Approfittò di quel momento di calma per fare una doccia, sentiva ancora la sabbia fin dentro il costume e poi, il caldo era insopportabile.
Jan restò più del necessario sotto l’acqua tiepida. La mano scivolò tra i peli sul petto insaponandolo, poi tra le gambe. Senza accorgersene circondarono il membro, le dita si mossero lente, poi sempre più veloci, la bocca socchiusa e lo sguardo rivolto verso l’altro. Un solo pensiero nella testa: Miguel steso accanto a lui che lo sfiorava. Ad immaginare la sua bocca, le sue mani, venne con un gemito soffocato. Un attimo dopo il senso di colpa e anche un po’ di vergogna lo investirono mozzandogli il respiro. Non poteva pensare a Miguel in quei termini. Erano solo amici e poi, a Miguel interessavano solo le ragazze. Glielo aveva dimostrato più volte di saperci fare. Sospirando tristemente, Jan si affrettò a sciacquare i residui della sua eccitazione e a tornare in camera da lui.
Coperto solo da un asciugamano legato alla vita, si avvicinò al letto, Miguel era di nuovo sveglio, la testa piegata di lato e gli occhi aperti. Sembrava preso da chissà quale pensiero, ma non appena avvertì dei passi, alzò lo sguardo verso di lui.
“Dov’eri?” la voce suonò quasi come un rimprovero.
“A fare la doccia, piccolo” gli sfiorò la fronte, poi sedette sul letto. “Stai meglio dopo aver preso gli antidolorifici?”
“Sono un duro” ridacchiò, ma Jan gli lesse negli occhi che stava soffrendo molto.
“Sempre il solito sbruffone. Tutto perché non vuoi mai darmi retta!”
Miguel allungò una mano a stringere la sue: “Sei così fresco” mormorò ansimante.
“Ho fatto la doccia”
“Perché non mi rinfreschi?” e senza esitare gli portò le braccia sulle spalle attirandolo a sé.
Venendosi a trovare contro il suo torace s’irrigidì. Dalle labbra dell’ispanico uscì un debole gemito e il biondino tentò di staccarsi: “Ti sto facendo male?”
“Non allontanarti” lo strinse ancora di più a sé, godendo del contatto con la sua pelle umida e fresca.
“Miguel, piccolo, forse non…” il corpo reagì alla vicinanza con quello di Miguel.
“Stenditi con me, voglio continuare a sentirti” il respiro caldo gli solleticò la guancia.
“Sicuro? Perché io n-non…” balbettò turbato da quello che provava.
“Jan” solleticò la gota rasata con il naso, i sospiri di piacere gli procurarono una buffa sensazione al basso ventre, mentre lo stomaco faceva le bizze.
Non potendo fare altro, Jan si accomodò accanto a lui, Miguel insinuò una gamba tra le sue lasciando scivolare le braccia lungo la schiena fino alle natiche sode. “Mmmm Jan”
“C-che fai?” abbassò lo sguardo ad incontrare il suo.
“Non so che farei senza di te, Jan” abbozzò un sorriso. “Sei la mia salvezza”
“Esagerato come sempre”
“Sto molto meglio” si spinse a lui chiudendo gli occhi. “Merito tuo”
“Ora dormi, piccolo” gli posò un bacio leggero sulla fronte calda.
“Grazie Jan, adoro il tuo corpo”
“C-come?” si sorprese di quanto stesse balbettando in quegli ultimi minuti.
“Così fresco, un vero sollievo” sulle labbra carnose apparve un piccolo sorriso.
In quel momento il cervello di Jan tentò di formulare un pensiero coerente, ma Miguel si era già addormentato. Sollevato che stesse meglio ma soprattutto da non dover replicare a quella frase, lo osservò riposare. Gli sembrò così tranquillo, come se il dolore che aveva provato pochi minuti prima fosse solo un ricordo lontano.
“Che testone sei, piccolo” sussurrò prima di affondare il viso nel suo collo e addormentarsi a sua volta.




martedì 7 agosto 2012

Tra i fornelli


Pairing:  Caparezza-Diego Perrone
Genere: real person slash
I personaggi non mi appartengono. La storia non è scritta a scopo di lucro, ma è stata scritta solo per diletto e non rispecchia la realtà ma solo invenzioni della mia mente malata 

La serata era gelida e nelle strade di Torino imbiancate da un leggero strato di neve, gli ultimi passanti tornavano veloci alle proprie case. Infagottato  in un cappotto nero, la candida gola avvolta in una sciarpa a righe multicolori Diego Perrone si dirigeva, affiancato dal collega e amico Michele Salvemini, in arte Caparezza, verso il proprio appartamento. Il tour invernale si era arrestato per un paio di giorni coì da permettere agli artisti un po’ di riposo. Diego ne aveva approfittato per tornare a casa, portando con sé l’artefice del suo successo, l’amico più caro, la persona che più di tutti gli donava tutto il suo affetto senza cercare nulla in cambio. Michele lo seguì nel suo piccolo appartamento da scapolo, nel quale si rifugiava ogni volta che ritornava nella città natia. Una volta, al caldo, nel piccolo soggiornino, Diego si tolse il cappotto e dopo avergli lanciato un’occhiata, lo lasciò da solo per andare in cucina. Michele, quasi come se fosse alla ricerca di qualcosa che potesse raccontargli di più sul compagno di tante avventure, sull’amico che da tempo immemore lo seguiva nei tour, ne approfittò per guardarsi intorno. Non pensava l’avrebbe ammesso, ma Diego gli era diventato indispensabile. Nella stanzetta, a differenza di quello che si sarebbe aspettato, tutto era al proprio posto. Grattandosi la fronte, ammise di essere un disordinato cronico, che nella sua villetta a Molfetta regnava il caos e che solo sua madre riusciva nell’impresa di mettervi ordine. Si soffermò a guardare delle foto dell’amico quando era più giovane e di sbirciare nella libreria. Si rese conto che condividevano la stessa passione per la lettura e soprattutto per autori come Kerouak e Salinger.
Dopo aver perlustrato ogni angolo, Caparezza lo seguì in cucina. Sul tavolo apparecchiato, una bottiglia di corposo Primitivo di Manduria. Michele sorrise pensando quanto l’amico apprezzasse i prodotti della sua terra e ricordò quella volta in cui aveva portato un cesto di leccornie pugliesi ed erano finiti a divorarle insieme dopo un’estenuante concerto.
“Invece di restare lì impalato, aprì il vino!” lo redarguì Diego senza voltarsi.
Michele obbedì, poi versò il vino in due bicchieri. Quando lo raggiunse, non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere. Diego indossava un lungo grembiule raffigurante Adamo con una foglia di fico.
“Cazzo c’hai da ridere!” corrucciò la fronte.
“Sai, ti dona” sghignazzando indicò il grembiule.
“Io lo trovo carino, anche se io ho un fisico più prestante!” aggiunse imbronciato.
“Su questo non ci sono dubbi!” replicò Caparezza lasciando vagare gli occhi neri sul fisico minuto ma ben fatto della sua seconda voce.
Imbarazzato, Diego tornò con la testa bassa sulla padella nella quale rosolava il pollo. Schiaritosi la voce mormorò: “Invece di sfottere perché non peli le patate?” gliene lanciò una.
“Io dico sul serio!” Michele l’afferrò al volo
“Sì, come no! Intanto te la ridi!” Diego mise un broncio così tenero che Michele restò incantato per qualche secondo. “Allora? Se non mi aiuti mangeremo a mezzanotte!” lo rimproverò seccato.
“Il mio chef è arrabbiato” Michele accorciò la distanza che li separava. “Coltello!” ordinò allungando una mano.
“Nel cassetto. E ora pela!” ordinò Diego dandosi un tono professionale. Da qualche tempo aveva cominciato a postare le sue ricette sul blog ottenendo anche un discreto seguito. Si sentiva già un mago dei fornelli, ma quella sera, nella sua piccola cucina, desiderava solo una cosa: fare colpo su Michele e deliziarlo con la sua cucina speziata.
Continuando a curare quasi come un bambino il suo pollo al curry, spizzò l’amico intento a tagliare le patate a fettine. Lo trovò talmente adorabile che non riuscì a reprimere un sorrisetto.
“Senti, Diegone, che mi cucini di buono?” lo stomaco del cantautore di Molfetta emise un leggero brontolio. Michele realizzò di aver trangugiato solo caffè,  ne aveva bevuti almeno sei.
“Pollo al curry e patate all’insalata con salsa piccante” rispose il cuoco tutto orgoglioso.
L’altro storse il naso: “Speravo di assaggiare qualche piatto tipico torinese non queste schifezze orientali”
“Cambierai idea quando assaggerai il mio pollo. Non ha niente di quelle merde che pensi tu. Vedrai che poi ti abbufferai”
“Mi fido di te, piccolo” e Michele gli rivolse uno dei sorrisi più dolci che avesse mai ricevuto da lui. quel gesto scaldò il cuore del giovane Diego, anzi, gli procurò un’improvvisa accelerazione del battito. Arrossito fino alla radice dei capelli,  abbassò di nuovo la testa sulla padella, nel tentativo di non far bruciare le verdure.
Una volta che ebbe terminato il suo compito, Michele si appoggiò al piano in attesa, quasi come se in quel modo potesse accelerare le cose.
I minuti passarono lenti e dopo quasi mezz’ora d’attesa, il pugliese sbuffò esasperato: “Quanto ti ci vuole? Sto morendo di fame!” quelle parole furono pronunciate con un tono di voce così alto da risultare stridulo. tanto che a Diego venne quasi da ridere.
“Sei noioso e anche irritante, lo sai?” il padrone di casa gli indicò il frigorifero accanto al fornetto. “Se non puoi aspettare, prendi del formaggio, ma lasciami cucinare in pace!”
“Che me ne faccio del formaggio, Diegone. Io voglio assaggiare i tuoi piattini prelibati” mettendo il broncio, avvicinò il viso al suo. “L’odore pare buono”
“Lo è anche il sapore, vedrai” Diego poteva avvertire il suo respiro caldo solleticargli il viso. Prudente, indietreggiò di un passo, poi appoggiando le mani ai fianchi, replicò: “Ti ha mai detto nessuno che sei peggio di un ragazzino?” mentre lo diceva si rese conto che di solito era Michele a sgridarlo per i suoi modi infantili.
Non aveva neanche terminato la frase che si ritrovarono a guardarsi per poi scoppiare a ridere. Diego si piegò in due, le lacrime agli occhi, mentre Caparezza, tenendosi la pancia con le mani, si lasciava scivolare sul pavimento.
“Smettila di ridere!” lo rimproverò il cantautore più giovane senza riuscire a fermarsi a sua volta.
“Smettila tu!” replicò il cantautore molfettese, ma non c’era verso di mitigarla.
Una volta che la ridarella fu placata, Diego tornò ai suoi manicaretti, mentre Michele spazientito e terribilmente affamato, si alzò dal pavimento camminando avanti e indietro.
“Vuoi farmi un solco?”
“Pensa a cucinare, Diegone! È l’ultima volta che mi freghi. Da quando pubblichi le tue pseudo ricette sul blog sei tutto tronfio, ma di mangiarle qui non se ne parla!” lo rimproverò Michele coprendo la piccola cucina a grandi falcate. Attendere non era mai stato il suo forte, soprattutto se cominciavano a diffondersi quei profumi così stuzzicanti. Quando lo stomaco ricominciò a farsi sentire, il cantautore pugliese aprì il frigo e dopo aver infilato l’enorme testone all’interno, passò in rassegna tutto il contenuto. “C’è il deserto qui dentro!” protestò.
Diego scosse la testa. “C’è una caciotta e anche qualcos’altro. Il resto sarà la nostra cena. Ora la vuoi finire di distrarmi?”
 “Colpa tua! Mi affami!” si voltò verso di lui prima di concentrare nuovamente la sua attenzione sulla difficile scelta da compiere.
Alla fine, oltre al formaggio che riconobbe essere uno di quelli che gli aveva portato lui da Molfetta, agguantò un salamino stagionato. Ma invece di prendere posto a tavola, si andò a posizionare accanto all’amico, portando con sé il cibo che aveva sgraffignato.
Seccato da quell’ammutinamento, Diego lo ignorò dedicandosi al curry che cuoceva lento sul fuoco. Vedendo mangiare Michele così di gusto, anche lo stomaco di Diego emise un brontolio, seguito da un rumoreggiare così potente che Michele per provocarlo, addentò una fetta di salamella, masticandolo con gusto. “Tu non hai fame?” ridacchiò conoscendo già la risposta.
“Tieniti il posto per il pollo!” brontolò il cuoco, mentre il profumo della caciotta lo tormentava.
“Dai, assaggia!” Michele gli sventolò un pezzo di formaggio sotto il naso.
“Smettila!” l’altro tirò la testa indietro.
“Piccolo, lo so che lo vuoi!” insistette il cantautore pugliese invadendo il suo spazio vitale con la sua prestanza.
Deglutendo Diego tentò di indietreggiare di un passo, ma Michele, per essere sicuro che non potesse scappare, gli circondò la vita con un braccio. I visi furono ad un niente l’uno dall’altro. Diego trattenne il respiro e quando l’amico gli appoggiò la caciotta alle labbra, non riuscì a resistere. Le aprì, lasciando che lui gliela infilasse in bocca. Con la lingua solleticò le dita.
mugugnando di piacere Diego masticò il boccone che gli sembrò il più buono che avesse mai assaggiato perché misto con il sapore di Michele.
“Ne vuoi ancora?” Michele solleticò il cerchietto sul labbro con la punta del pollice.
Senza staccare gli occhi dai suoi, Diego annuì e aggiunse: “Quando torni a Molfetta me ne porti dell’altra?”
“Tu verrai con me, piccolo” replicò il pugliese prendendo una fetta di salame e infilandogliela in bocca.
Con il cuore gonfio di gioia per quella frase, Diego sorrise: “Sai da quanto non vengo?”
Senza pensarci Michele rispose di getto: “Sei mesi, dieci giorni e…”
“Che fai? Tieni il conto?” rise divertito ma anche emozionato da tutte quelle dimostrazioni d’affetto.
L’altro si limitò a fissarlo con uno sguardo colmo di significati e Diego aggiunse: “Mi piace mangiare in questo modo” sorrise sornione.
Michele avvicinò ancora il viso al suo, le labbra socchiuse ed unte del più giovane erano una tentazione talmente forte che le intrappolò con le sue. Quel bacio scatenò una tempesta in Diego che rispose con entusiasmo, afferrandogli il viso con i palmi. Preso il sopravvento il giovane torinese lo spinse contro il piano cottura assaltando la bocca, succhiando la lingua e mordicchiando il labbro. Un gemito soffocato scappò al molfettese che fu catturato dall’irruenza del suo piccolo amico.
Staccandosi il tempo per recuperare quell’aria perduta, Michele mormorò il suo nome: “Diego”
Diego si pressò contro di lui, insinuando una gamba tra le sue. “Zitto!” e tornò a cercare quella bocca che bramava da tempo.
Dimentichi della cena e soprattutto del pollo al curry sul fuoco, si dedicarono a un passatempo molto più piacevole.

giovedì 28 giugno 2012

lunedì 28 maggio 2012

Lezioni di tango



Se desiderate leggere una storia fuori dai canoni, per niente banale e che parli di amore, amicizia e animali il romanzo che fa per voi è "Lezioni di tango" dell'autrice Giusi Dottini, in collaborazione con Alessandra Giusti, edito da EdiLet.
Le autrici hanno creato anche un gruppo su facebook.
https://www.facebook.com/groups/188400987266/members/

domenica 6 maggio 2012

Jan e Tom


Regalino per la mia cicci. Spero ti piaccia.

Dietro la maschera capitolo 1


Avendo deciso di modificare un pò il primo capitolo, lo posto di nuovo. Spero che questa versione vi piaccia più della precedente.


Una villa nelle campagne romane, due persone sconosciute si amano febbrilmente, per poi separarsi. Questa è la trama del primo capitolo di questo avvincente racconto.

I personaggi sono di mia invenzione.
Contiene scene di sesso esplicito.



1

L’auto percorse lentamente il sentiero alberato, in fondo al quale si scorgeva l’enorme villa. Essendo la notte senza luna il percorso rischiarato da centinaia di fiaccole. Una volta che la vettura ebbe raggiunto l’abitazione, si fermò davanti allo scalone che conduceva al portone d’ingresso. Quando la portiera della BMW si aprì ne uscì un uomo che, nonostante la maschera nera gli celasse metà del viso poteva dirsi di una bellezza quasi sfacciata: i capelli biondi incorniciavano un volto dai lineamenti delicati. Profondi occhi azzurri uscivano dalla mascherina nera. Il mantello nero chiuso a nascondere il corpo. Dopo essersi guardato intorno, si mosse ad aprire la portiera dalla parte del passeggero. Porse la mano ad una donna dall’aspetto etereo, il volto delicato e grandi occhi verdi splendevano sotto la mascherina dorata. Il corpo minuto era fasciato in un elegante abito di raso blu, i capelli color miele tirati all’insù in una crocchia elaborata, ma alcuni riccioli le ricadevano sulla fronte. Una volta che ebbe posato il piede terra, si appoggiò saldamente al braccio del suo accompagnatore, il quale, la condusse su per i gradini di marmo. Raggiunto il vestibolo, la pesante porta si spalancò ed un maggiordomo in livrea, con un inchino, li introdusse nell’ingresso dominato da uno scalone. Dopo aver controllato il loro invito e preso i soprabiti, li accompagnò fino ad una porta chiusa, rivelando un mondo di mistero e di dissolutezza che nessuno dei due ospiti si aspettava. Una musica conturbante li avvolse come un guanto inebriandoli. Ammaliati, ma anche intimoriti osservarono quella sala così fastosa. Colonne dorate sembravano mantenere il soffitto affrescato con scene mitologiche, intervallate da stucchi ed enormi lampadari di cristallo a goccia.
Su divanetti dalla tappezzeria rossa, coppie si trastullavano in giochi erotici e in altre attività che potevano senza alcun dubbio essere illustrate nel Kamasutra. Il tutto accompagnato da fiumi di champagne, ostriche, caviale e tutto ciò che di più lussuoso poteva trovarsi in commercio.
A quello spettacolo la donna si lasciò sfuggire un gemito impercettibile, che giunse però alle orecchie del suo accompagnatore. Questi, immaginando cosa stesse passando nel suo animo, la guardò apprensivo. Anche lui era animato da sentimenti contrastanti: timore di buttarsi nel vizio e di restarne avviluppato, ma allo stesso tempo, una frenesia di osare senza pensare alle conseguenze delle proprie azioni. Gli sembrò che in quel luogo tutto fosse lecito, anche le perversioni più spregevoli. Quando aveva ricevuto quell’invito dal suo capo, lui, Andrea Della Valle, giovane e brillante avvocato della Roma bene, si era sentito privilegiato di fare parte di un circolo tanto esclusivo. Era certo che avrebbe potuto giovare alla sua carriera in quanto ambiva a diventare socio del suo studio. Nonostante sapesse cosa si celava all’interno dei fastosi ambienti di villa Adriana, nelle campagne dei Castelli romani. Spinto dalla sua immensa ambizione aveva varcato quel salone per la prima volta portando con sé anche la sua innocente consorte. A spingere Andrea anche la speranza di salvare il loro matrimonio ormai logorato dalla routine.
Tornato al presente si voltò verso di lei e si rese conto che la sua attenzione era catturata da coppia stesa su un divanetto di pelle rossa, impegnata in un amplesso rumoroso e alquanto acrobatico.
La vide arrossire e abbassare la testa, ma continuando a sorreggersi a lui, avanzò nel salone. Una ragazza dai sulla ventina dai lunghi capelli rossi, passò accanto ad Andrea, lasciando una scia di profumo che gli provocò un leggero stordimento. Gli unici particolari che si intravedevano dalla maschera bianca erano gli occhi verdi da gatta e le labbra rosse sulle quali faceva bella vista un piccolo neo.
“Ciao” gli rivolse un sorriso lascivo “vuoi compagnia?” gli sfiorò la giacca con il palmo della mano.
Rendendosi conto di quanto fosse semplice trovare una compagna con la quale trasgredire, Andrea ricambiò il sorriso. Ma non fece in tempo a rispondere che la rossa fu raggiunta da un’altra ragazza, una brunetta strizzata in un abito striminzito, con una profonda scollatura. L’attirò in un bacio saffico per poi appartarsi con lei dietro una colonna.
Immaginando cosa potessero combinare insieme, si leccò le labbra.
“Ti vuole, amore” sussurrò Elena solleticandolo con il suo alito caldo “e come lei tutte le donne presenti!”
“Non dire sciocchezze!”
Un cameriere vestito di bianco si avvicinò, porgendo un vassoio con calici di champagne. Andrea ne prese due, allungandone uno alla moglie. “Hai sete, amore?”
“Perché non le raggiungi?” lo provocò.
“Hai tanta fretta di liberarti di me?” Andrea si schiarì la voce imbarazzato dal fatto che lo stesse spingendo tra le braccia di altre donne. Bevve il contenuto del suo bicchiere tutto d’un fiato.
“No, mi sto adeguando alla situazione. Se questo può sbloccarti!”
“Che intendi?” si voltò di scatto.
“Lo sai amore”
“No, non lo so” replicò piccato. “Devo ricordarti che sono settimane che non ti fai neanche toccare? E sarei io quello bloccato?”
“Abbassa la voce” sibilò furiosa.
“La verità è che sei fredda!”
“Vorrà dire che mi troverò qualcuno che mi scaldi!” lo minacciò. “Siamo qui per questo no?” e si guardò intorno, come se stesse cercando qualche potenziale amante. “Che ne dici di quel bel moro lì?”
 e indicò un uomo sulla trentina, appoggiato a una colonna. il volto celato da una mascherina argentata e sulle labbra carnose un sorrisetto malizioso. Il corpo scolpito era fasciato in una camicia nera semi aperta, dalla quale fuoriusciva una peluria scura e in pantaloni anch’essi di colore scuro.
Incuriosito, ma soprattutto affascinato, Andrea guardò nella sua direzione e si rese conto che anche i suoi occhi sembravano puntati proprio su loro,
 “Ti piacerebbe guardarmi fare l’amore con lui?” domandò Elena sfiorando il lobo del marito con le labbra rosse.
Al pensiero, Andrea avvertì un formicolio al basso ventre: “Perché negarlo? E poi, Un uomo del genere ti farebbe gemere di piacere”
“Sì, scommetto che sa come soddisfare una donna” commentò lei. “Ma io preferirei qualcuno di diverso” e tornò a guardare altrove.
“Scommetto che ha un bel cazzo e che sa come usarlo” si sporse verso di lei.
Gli sferrò un buffetto: “Da quando sei così volgare? È così che parlano i giovani avvocati, ora?”
Andrea scoppiò a ridere, poi quando nell’aria si diffusero le prime note di una musica a lui particolarmente familiare, condusse la sua dama verso il centro della pista.
“Balliamo?” e attirandola tra le braccia, lasciò che fosse la musica a condurli.
Elena si spinse contro di lui. Avvertendo l’erezione contro di sé sorrise “Andrea! Anche il solo pensarmi con quel tipo ti fa questo effetto?”
Ridacchiando lui mormorò: “Questo posto ha risvegliato i miei istinti” e aumentò la stretta.
“Forse abbiamo fatto bene a venire”
“Sì, senza contare che è un passaporto per diventare socio”
“Così non ti vedrò più!” replicò lei.
“Ma guadagnerò di più e vuoi mettere la soddisfazione di vedere l’espressione di quel lecchino di Davide Vinci?”
“Il mio maritino è davvero diabolico!” appoggiò la testa sulla sua spalla
Una volta che la musica fu terminata, Elena si allontanò per rinfrescarsi. Andrea appoggiato alla parete cercò con lo sguardo le due ragazze di prima, ma non vedendole concluse che dovevano essersi allontanate.
Era talmente perso nei suoi pensieri che non si accorse di una presenza alle spalle.
“Sembri annoiato!” fece una voce maschile dal marcato accento straniero. “Non ti diverti?”
Giratosi di scatto Andrea si stupì di trovarsi davanti il bruno che Elena gli aveva indicato in precedenza. Quando il suo sguardo si posò sugli occhi scuri, non riuscì a rispondere.
“Sei di poche parole” sorrise compiaciuto di aver fatto colpo. “Come mai tutto solo?”
“Sto aspettando mia moglie” replicò.
“Magari ha trovato compagnia” sorridendo malizioso, si sporse verso di lui. “In fondo, siamo qui per questo, no?”
A quelle parole, Andrea si rabbuiò. Nonostante tentasse di adeguarsi alla situazione, gli dava fastidio il pensiero di Elena con un altro uomo.
“Che c’è? Sei geloso?”
Tornando ad annegare nei suoi occhi scuri, Andrea annuì: “Dovrei cercarla, se vuole scusarmi!” si mosse per superarlo, ma questi gli bloccò il braccio.
“Come mai tanta fretta?”
“Mia moglie mi starà cercando” balbettò una scusa, il cuore gli batteva con violenza. Aveva davvero sbagliato a pensare fosse interessato ad Elena. Tutto dimostrava che era lui il suo bersaglio. 
“E lasciamola cercare” sorrise piegando la testa di lato come se lo stesse scrutando con estrema attenzione.
“Mi lasci!” lo strattonò.
Senza replicare, lo liberò dalla sua stretta, ma Andrea continuò a sentire il calore della sua mano.
“Sei un bel tipo!” rise di cuore. “Che ci fai in mezzo a questi dissoluti?”
Sentendolo parlare, Andrea si rese conto che doveva essere dell’Europa dell’est, forse rumeno o ungherese. “Colleghi di lavoro” rispose vago.
“Ah, capisco”
“Lei, invece?” tentava di carpire qualcosa di più su quell’uomo che gli provocava tante sensazioni contrastanti.
“Amici di amici”
“È qui con qualcuno?”
“No, solo” si appoggiò alla colonna in modo da avere un leggero contatto con lui. “Non preoccuparti, questa sera voglio dedicarmi solo a te”
La sua vicinanza lo agitava più di quanto volesse. “Non intendevo dire che…” si maledisse. Lui, uno squalo in tribunale diventava più docile di un gattino davanti a quell’uomo tanto da balbettare.
“Sei tenero. Scommetto che è la prima volta che lo fai. Non è così?”
“Cosa glielo fa pensare”
“Tutto. Sembri così spaesato, un uccellino che cresciuto in una gabbia si ritrovi all'esterno”
“Mentre lei è un habitué” lo disse convinto.
“Sei un tipo molto perspicace” si sporse verso di lui allarmandolo. “Hai due occhi che sono uno spettacolo. Un mare in tempesta” gli scansò una ciocca dalla fronte.
Come scottato, il biondo si scansò. Divenne più rosso della tappezzeria dei divanetti.
“Sei timido?” rise divertito. Comprendendo che quell’uomo si divertiva a stuzzicarlo lo indispettì.
“Va al diavolo” e si allontanò.
La musica gli impedì di sentire la sua presenza alle spalle e solo quando questi lo afferrò si rese conto che l’aveva seguito.
“Che fa?”
“Andiamo da un’altra parte! Qui non si può parlare!” e senza lasciargli il tempo di rispondere, lo trascinò fuori dal salone.
“Mi lasci!” obiettò quando vide che lui voleva portarlo al piano superiore.
“Vieni con me!” e lo condusse su per lo scalone di marmo.
Andrea si ritrovò catapultato in un corridoio fiancheggiato da decine di porte. Passando davanti ad una stanza, con la coda dell’occhio, Andrea notò un movimento sul letto. Incuriosito sbirciò all’interno: le due ragazze che aveva adocchiato poco prima erano impegnate in un amplesso saffico. La rossa aveva il viso affondato tra le cosce della brunetta, la quale gemeva senza sosta. Andrea avvertì un formicolio alle parti basse e d’istinto si portò la mano all’altezza della patta. “Cazzo. Arrapanti” mormorò.
“Vuoi restare a guardare?” gli sussurrò il suo misterioso accompagnatore cogliendolo di sorpresa.
“Ehm si” si vergognò immediatamente della sua sincerità.
“E chi non vorrebbe? E magari, anche prendervi parte”
“Sì” ansimò senza staccare lo sguardo da quello spettacolo.
“Ti piacerebbe divorare le loro pesche mature, nutrirti della loro essenza più intima”
Le sue parole non fecero altro che accendere i suoi istinti: “Fino all’ultima goccia”
“Ti ho capito. All’apparenza sembri un angioletto dalle buone maniere, ma dentro nascondi un’anima da diavolo peccatore” gli carezzò la nuca con i polpastrelli.
“Mia moglie mi chiama il divoratore di passere perché passerei ore a darle piacere” poi ripensò a quello che si erano detti poco prima e si rattristò.
“Ne ero sicuro” gli alzò il mento con un dito. “Sembri triste”
“Non sono affari suoi!” sbottò seccato.
“Come vuoi” alzò le braccia in segno di resa. “Seguimi, dai. Ho in serbo qualcosa di meglio per te. andiamo!” e lo tirò verso una camera in fondo al corridoio.
Andrea si ritrovò in una stanza illuminata da un candeliere a tre bracci, poggiato su una cassapanca. Al centro un letto a baldacchino con lenzuola di raso nero. Sentendo girare la chiave nella serratura, si agitò: “Che fai?”
“Non voglio interruzioni!” replicò avvicinandosi sinuoso.
“Non puoi tenermi chiuso qui dentro!” protestò Andrea con tono isterico.
“Hai paura di restare solo con me?” la sua voce calda e profonda gli provocò un’accelerazione del battito. Andrea deglutì rumorosamente
“Allora?” incalzò lo straniero bloccandolo contro la porta. Gli occhi scuri brillavano di lussuria.
“Perché dovrei?”
“Bene!” sfiorò le labbra con un dito. “Devo dirtelo, sei una vera tentazione” Scese lungo il mento. “e scommetto che sotto la maschera sei anche meglio”
Andrea cominciò ad ansimare. Non si sarebbe mai aspettato di provare di nuovo attrazione per un uomo. Ripensò a quando, anni prima, aveva avuto una storia con il suo professore di Procedura penale. Lo aveva coinvolto talmente da renderlo succube, mente lui l’aveva usato solo per divertirsi, così come faceva con ogni studente che accendeva i suoi stimoli. Un pomeriggio lo aveva trovato insieme ad un suo compagno di corso. La consapevolezza di essere stato preso in giro lo devastò talmente da indurlo a cambiare non solo insegnante, ma anche indirizzo di laurea.
“Come mai così silenzioso?” il viso fu a un niente dal suo. “Dovrò impegnarmi a strapparti almeno qualche mugolio” e gli tappò la bocca con la sua. Solleticò le labbra con la lingua, spingendo prepotentemente per entrare.
Lasciandosi sfuggire un lamento, Andrea rispose con trasporto. Lo sconosciuto gli portò una mano dietro la nuca e lo attirò contro di sé.
La mancanza d’aria li costrinse a separarsi.
“Voglio vederti!” mormorò Andrea boccheggiante. “Perché non togli questa?” fece per abbassargli la maschera, ma l’altro prudente tirò indietro la testa.
“È contro le regole!”
“Non puoi dirmi neanche come ti chiami? Io…” un altro bacio lo costrinse a tacere.
“Shhh” con la punta della lingua solleticò le labbra: “in questo posto non abbiamo né volti, né nomi.” Il moro si pressò contro di lui, allargandogli le gambe col ginocchio. “E poi, è più eccitante così! Lasciarsi andare e fare l’amore con qualcuno che non conosci!” gli bloccò le braccia contro il muro.
Andrea attese una sua mossa, ma lui restò immobile, scrutandolo intensamente.
Cercando il suo tocco, Andrea s’inarcò verso di lui. Gli sfiorò appena un lato della bocca, poi l’altro.
Quando finalmente lo straniero planò sulle labbra morbide, Andrea gemette di piacere e lasciò che lo invadesse con la sua lingua. Lo baciò ancora e ancora fino a essere sazio del suo sapore. Liberandogli le mani dalla stretta, scese a sbottonare la camicia.
La spinse a forza giù dalle spalle, buttandola sul pavimento. Mentre armeggiava con la cinta, Andrea prese a spogliarlo a sua volta. Abbandonando una scia di vestiti, lungo il tragitto, i due si mossero verso il letto. Una volta entrambi nudi, si buttarono pesantemente sul letto, stringendosi l’uno all’altro e carezzandosi febbrilmente. Lo straniero lo sovrastò pressandolo contro il materasso. Perlustrò il petto sfiorando i peli biondi. Soffermatosi su un capezzolo, lo solleticò con le dita, poi lo torse.
Andrea ansimò considerando come il suo tocco così deciso, ma allo stesso tempo delicato, fosse diverso da quello di Elena. Lo supplicò di continuare, di non lasciarlo insoddisfatto e il suo amante decise di appagare quella sua richiesta. Appoggiata la bocca sul bottoncino di carne rosea, succhiò rumorosamente. Andrea infilò le dita nei ricci scuri e tirò una ciocca.
“Siamo impazienti, vero, dolcezza?” il moro scivolò verso il basso lambendo il ventre scolpito. Raggiunto l’ombelico, lo leccò, per poi risalire nuovamente.
Non avvertendo più il contatto, Andrea piagnucolò: “Perché?”
“Perché lo decido io!” gli morse il labbro inferiore, appropriandosi ancora una volta della bocca gonfia per i ripetuti assalti. Lasciando una scia umida, si spostò verso il collo. “Ti piace essere dominato?”
“Sì” per concedergli maggiore accesso, Andrea piegò la testa di lato, ma l’amante proseguì mordendo la spalla. Gli alzò un braccio e leccò fino a raggiungere l’incavo dell’ascella. “Hai un così buon sapore! Ora viene la parte migliore” ghignando, scivolò verso il basso.
Circondò l’erezione con le dita facendole scorrere per tutta la superficie. “Arrapante questa pelle in più. Non sei circonciso, come la maggior parte degli italiani” passò il pollice sul prepuzio.
“Da dove vieni? Romania?” ipotizzò.
Lo straniero sospirò seccato, ma alla fine gli fornì la risposta che cercava: “No! Budapest” mordicchiò il prepuzio.
“Mi piace il tuo accento, così affascinante e misterioso”
“Misterioso?” rise divertito
Andrea annuì: “Molto e mi arrapa da matti!”
Quando l’altro chiuse le labbra sul membro eccitato, Andrea trattenne il respiro e lo osservò muoversi sulla sua asta, prenderla fino in fondo. “Cazzo” imprecò.
Le dita scesero a giocherellare con i testicoli, poi si spostarono tra le natiche.
Ansante Andrea seguì ogni suo movimento. Quando si sentì violare, gemette muovendo il bacino per incontrare le sue dita.
Una scarica elettrica si propagò lungo la schiena. Questo slavo ci sa proprio fare.
L’orgasmo lo travolse come un fiume in piena, tanto che il suo amante ebbe appena il tempo di spostarsi prima che lo inondasse con il suo seme. Attirò Andrea in un bacio.
Rispondendo con trasporto, lui lo spinse supino. Continuò a sbaciucchiarlo per qualche secondo, poi si spostò mappando con la bocca il fisico massiccio.
L’ungherese ansimò e Andrea continuò il suo cammino fino al ventre, mordicchiando un po’ di pancia. Trovava terribilmente eccitanti quei chiletti in più e la peluria che scendeva fin dentro i pantaloni.
Nonostante fossero anni che non faceva sesso con un uomo non aveva certo dimenticato come procurare piacere al suo amante.
Vedendolo titubante, lo straniero, gli spinse la testa verso il basso.
Andrea sfiorò delicatamente il membro con i polpastrelli, poi preso coraggio, lo circondò per masturbarlo.
“Che aspetti? Prendilo tutto!” lo incitò impaziente.
Senza attendere oltre, Andrea appoggiò la lingua dando delle leggere leccate, poi lo accolse in bocca assaggiando il suo sapore acre. Spinse fino in gola e lo succhiò come un ghiacciolo, assaporandolo lentamente. Passò la lingua lungo la superficie del sesso e subito dopo la bocca si chiuse sulla punta umida e luccicante.
“Cazzo” imprecò l’ungherese prima di bloccarlo. Gli tirò i capelli e attirandolo verso di sé, lo baciò con ardore. “Voglio scoparti! Ora!”
“Non aspetto altro” gemette Andrea tra un bacio e l’altro: “fa presto!” condusse l’erezione tra le gambe.
“Aspetta” l’altro lo bloccò districandosi dall’abbraccio. Sceso dal letto, raggiunse i pantaloni e rovistò nelle tasche.
Andrea lo fissò stranito, ma quando il suo amante si voltò a mostrare il pacchettino del preservativo, sorrise imbarazzato per essersi dimenticato quel particolare così importante.
“Non possiamo farlo senza” strappò l’involucro e dopo aver indossato il guanto protettivo, tornò da Andrea sovrastandolo con il suo fisico massiccio. Senza perdere un altro istante, si spinse in lui con forza. Il giovane non riuscì a trattenere un grido di dolore, calde lacrime gli inumidirono gli occhi.
Il suo amante li asciugò con un dito e disseminò il volto di piccoli baci. Ansimando, Andrea lo abbracciò, mentre il cuore sembrava schizzargli fuori dal petto. Lo colse la strana sensazione di conoscere quell’uomo da sempre e non solo da pochi minuti. Terrorizzato, si chiese se fosse la lussuria a farlo sentire in quel modo o se stesse per caso impazzendo.
Le mani scivolarono fino alle natiche, le agguantò per aumentare la penetrazione e allargò maggiormente le gambe. Quando il pene sfiorò un punto particolarmente sensibile, urlò di piacere.
Il suo amante affondò in lui, per poi ritrarsi. Sentirlo gemere lo spronava a continuare quel trattamento. I corpi sudati si muovevano insieme, mentre nella stanza risuonavano i loro ansiti.
Andrea si mosse a cambiare posizione, mettendosi a quattro zampe. Quando lo sentì dentro di sé, spinse il bacino all’indietro per accoglierlo, incitandolo a non fermarsi.
“Ti piace come ti fotto?” si stese su di lui spingendolo a pancia sotto sul lenzuolo.
“Sì, non ti fermare! Ancora!” si voltò ad incontrare i suoi occhi scuri.
“Così stretto!” si ritrasse giusto per un istante, poi tornò alla carica.
Completamente in balia di quell’uomo, Andrea si lasciò andare.
“Continua a parlare! Dimmi come lo vuoi!” lo stuzzicò l’ungherese.
“Muoviti così. Quel punto che hai toccato prima” e quando il suo amante eseguì il suo volere, urlò per l’estasi “Sì, ancora!”
“Sei insaziabile” gli catturò il lobo con i denti. La mano scivolò tra le gambe.
Andrea mosse il bacino e quando il picco li travolse entrambi, restarono lì, ansimanti. Il biondino si voltò, i visi ad un niente, i respiri caldi sulla pelle.
Gli occhi neri dello slavo si persero in quelli azzurri e profondi di Andrea. Accarezzò le labbra con un pollice. Andrea glielo baciò, poi osservò con attenzione il grosso anello d’oro con una D lavorata. Si disse che doveva trattarsi dell’iniziale del suo nome o cognome.
“A cosa pensi?” gli domandò lo straniero.
“A come è strano tutto questo” sorrise “trovarmi qui con te, in questa camera”
“Strano in senso positivo spero” scostò dalla fronte una ciocca umida.
Andrea scoppiò a ridere “Puoi giurarci! Credevo sarei andato con una donna”
“Non era la prima volta, vero?”
“No” rispose capendo a cosa si stesse riferendo. “Ma ero un ragazzo”
“Ricordavi tutto alla perfezione” l’altro gli sfiorò la spalla con un bacio leggero, poi si districò dall’abbraccio. “Devo andare!” e si fiondò giù dal letto.
“Di già?” domandò Andrea osservandolo raccogliere gli abiti dal pavimento.
“Ho l’aereo tra due ore” indossò la camicia.
“Anche io dovrei tornare da mia moglie” !”Andrea si passò una mano nei capelli. Lo sguardo si focalizzò sul fondoschiena tonico “Cazzo quanto mi piaci
Lo slavo si voltò e lasciando cadere al suolo i pantaloni, tornò da lui per baciarlo un’ultima volta, lentamente quasi come se volesse marcare nella memoria il suo sapore. “Devo andare via, è stato bello” tracciò i contorni delle labbra con un dito.
"Non credo riuscirò a scacciarti dalla mia mente"
L'altro si limitò a sorridere, poi quando si fu vestito gli lanciò un’ultima occhiata. Andrea era nudo sul lenzuolo, il braccio sinistro dietro la nuca e l’altro sul ventre.
“Sei uno degli uomini più sexy che abbia mai visto, dolcezza” gli disse prima di uscire dalla stanza e chiudersi la porta alle spalle.
Prima di lasciare a sua volta la camera da letto, Andrea restò immobile per qualche istante, gli occhi fissi sul punto nel quale era sparito il suo amante.


Quando Andrea tornò nel salone, tutto gli sembrò irreale. Fu quasi come se avesse solo sognato il tempo trascorso con quello sconosciuto e le sensazioni provate. Ma non era stato un sogno. Aveva fatto sesso con un uomo favoloso e non se ne pentiva. Con lo sguardo cercò sua moglie, la folla sembrava diminuita. Alcune coppie che ballavano avvinghiate sulla pista ed altre appartate sui divanetti e in altri angoli meno in vista della sala. Improvvisamente vide Elena. Sedeva al bancone del bar in compagnia di un uomo sulla quarantina, capelli brizzolati, aria distinta ed elegante. Il viso celato da una maschera nera. Geloso si avvicinò restando però sempre a debita distanza in modo da osservare senza essere visto. Un cameriere gli porse un vassoio e lui prese un calice di champagne. Ne bevve un sorso, ma sulla lingua percepiva ancora il sapore del suo amante. Ripensando alle capriole che avevano compiuto solo pochi minuti prima si sentì invadere da un tale calore che fu costretto ad aggiustarsi i pantaloni. Intanto sua moglie chiacchierava disinvolta, la mano dell’uomo poggiava sulla sua tanto che ad Andrea sembrò fossero troppo intimi. Si chiese se fossero stati insieme. In quel momento gli occhi chiari della donna si posarono su di lui. vedendola irrigidirsi, Andrea s’incupì, ma subito dopo lei sorrise e alzatasi lo raggiunse. “Chi era?”
“Chi?”
“Quel tipo al bar. Sembravate molto intimi”
“Nessuno, ci ho scambiato qualche parola mentre ti aspettavo” gli lanciò un sorrisetto malizioso: “sei geloso?”
“Certo che lo sono, piccola!“ le prese la manina inguantata e se la portò alle labbra. “Sei mia moglie e…” la scrutò stupito. “Sembri diversa”
“Anche tu, tesoro” lo osservò critica. “Dove sei stato?”
Non volendo mettere la moglie al corrente di quella sua scappatella, balbettò una scusa “Mi sono perso, questa villa è…” ma non riuscendo a continuare a mentire, si bloccò. Si diede dello sciocco perché non era in grado di inventare una scusa decente per coprire la sua infedeltà.
“Sei un libro aperto, amore mio. Non riesci a mentire senza che il labbro superiore ti tremi. Capisco sempre quando mi stai raccontando una frottola”
“Ho incontrato qualcuno” replicò vagamente.
“Era bella?” si rattristò.
“Non so, aveva la maschera, ma nessuna può essere paragonata a te” non sapeva come districarsi da quella situazione spinosa.
“Ruffiano” gli sferrò un buffetto sul petto. “Dai, torniamo a casa”
Andrea annuì e dopo averla presa per mano, la condusse nell’ingresso dove li attendeva il maggiordomo. Dopo aver consegnato loro i soprabiti, l’uomo li salutò con un inchino