sabato 28 maggio 2011

Bienvenido a Miami cap 3



Soko Leipzig
Personaggi: Vince Becker, Jan Maybach
NC-17
I personaggi non mi appartengono.
Un grazie speciale alla mia socia e nonché editor Giusi senza la quale questa fic forse non avrebbe neanche visto la luce.


3


La luce del sole mattutino faceva capolino dalle tende lasciate semiaperte. Vince dormiva completamente nudo, un braccio sotto il cuscino e l’altro abbandonato sull’addome.
Le lenzuola appallottolate sul pavimento, mentre il posto accanto al suo era vuoto. Dal bagno lo scorrere dell’acqua. Pochi minuti dopo la porta si aprì, Jan tornò nella stanza, lo copriva solo un asciugamano. Dai capelli ancora bagnati alcune goccioline ricadevano impunemente sulle spalle. Lanciò uno sguardo al compagno e sorrise dolcemente, doveva essere stremato dopo tutta quell’attività fisica extra! Vince si era rivelato un amante molto passionale, premuroso e anche fantasioso. Anche se con caratteri diversi gli ricordava tanto Miguel. Sospirò tristemente ripensando al compagno scomparso, avevano avuto così poco per vivere la loro storia d’amore. Se non si fossero accorti troppo tardi di ciò che provavano di certo avrebbero avuto più tempo di godersi l’un l’altro.
Si avvicinò al letto, gli sedette accanto attento a non destarlo. Si sentiva in colpa per non aver fatto parola di quello che era accaduto. In fondo, si era trattato di un’impressione, quel tipo gli somigliava solo, non era lui. Non poteva essere Miguel perché lui era morto. Strinse i pugni, poi scosse la testa, non sarebbe ricaduto nel baratro dal quale era a stento uscito. Tornato al presente, scostò una ciocca di capelli dal viso di Vince, subito lui riaprì gli occhi e gli afferrò la mano portandosela alle labbra.
“Giorno” biascicò mordicchiando le dita.
Jan rise: “Stavi solo fingendo di dormire, vero?”
“Aspettavo una tua mossa” Jan si stese su di lui, i corpi ermeticamente attaccati e i visi divisi da un niente.
“Ti osservavo dormire” posò un bacio sulla fronte: “sei proprio carino” poi scese a lambire il naso, giù fino alla bocca.
Lasciandolo entrare, Vince portò una mano dietro la nuca per approfondire il contatto. Jan accarezzò il volto continuando a baciarlo con trasporto. La mancanza d’aria li costrinse a staccarsi.
“Dovresti svegliarmi ogni mattina in questo modo, Jan”
“Se tu vuoi” sfiorò il petto con le dita: “sono disposto a fare questo sacrificio”
Vince si alzò di scatto, spingendolo supino e ribaltando così le posizioni. Gli bloccò le braccia dietro la testa.
“Ehi” protestò Jan :“Cosa credi di fare?”
“Inizio questa giornata nel migliore dei modi” abbassò la testa per baciarlo. “Sono felice di essere qui con te”
“Anche se per lavoro?” Jan alzò la testa per guardarlo.
“Mi sto divertendo, adoro l’azione e quando l’operazione entrerà nel vivo, sarà ancora più eccitante” gli occhi del commissario più giovane brillavano di entusiasmo.
“Vince, non pensare da incosciente, sai che sarà pericoloso e non è detto che il tenente Sanchez acconsentirà alla tua idea”
“E tu, non fare il guastafeste come sempre!” lo rimproverò. “Vedrai che pur di acciuffare quei trafficanti… ” sfiorò il petto di Jan con il naso “mi butterà nella mischia” posò una scia di baci giù fino al ventre.
“Ma come parli?”
Vince mordicchiò la carne: “Mi sono adeguato, amore. Dovresti farlo anche tu, sei troppo rigido”
“Non è vero” protestò mettendo il broncio.
“Su, ora non prendertela, ma devi ammettere che non ti stai adattando a questa realtà. Non siamo a Lipsia, qui ragionano in modo diverso”
“Io sono me stesso e non mi va di cambiare solo per fare colpo su questi detective americani”
“Non ti dico di cambiare, ma di lasciarti un po’ andare”
Jan abbozzò un sorriso: “Lo farò, ma ora… che ne dici di terminare ciò che hai cominciato?”
Vince ridacchiò “Il capo ha sempre ragione”



Ore dopo Jan e Vince erano alla centrale di Polizia. La sezione Narcotici si trovava all’ottavo piano di un enorme edificio. Varcate le porte, si ritrovarono in un’ampia sala dalla quale due corridoi conducevano ai vari uffici. La sala principale era occupata da scrivanie tutte provviste di computer. Un agente dai capelli neri e la carnagione abbronzata si avvicinò per verificare le loro identità.
Jan cacciò il tesserino di riconoscimento “Commissario Jan Maybach e lui è il mio collega Vincent Becker, dobbiamo incontrare il tenente Sanchez”
Il giovane annuì e si allontanò sparendo dietro una porta. Guardandosi intorno Vince si sporse verso Jan: “Questo posto è immenso, ci si potrebbe perdere”
“In America è tutto così esagerato” commentò con una smorfia.
Vince non ebbe la possibilità di replicare poiché il tenente Sanchez li raggiunse con un sorriso “Benvenuti” strinse la mano soffermandosi più a lungo su quella di Jan. “seguitemi, abbiamo molto di cui discutere”
Li condusse attraverso un lungo corridoio, fiancheggiato da numerose stanze, poi si fermò davanti ad una porta aperta: “Dopo di voi”
Furono introdotti in un ufficio esposto ad est molto luminoso: “Accomodatevi, signori” sedette alla scrivania
Vince e Jan presero posto di fronte a lei. Vince si guardò intorno, il solo mobilio, oltre alla scrivania e alle poltroncine sulle quali sedevano, era costituito da una scaffalatura e da un dispensatore per l’acqua.
“Allora, commissario Maybach, mi piacerebbe che ripetesse ciò che è accaduto l’altra notte al ‘Choza’ così da avere le idee più chiare su come muoverci” aprì un fascicolo.
Jan rifletté qualche secondo prima di cominciare a parlare: “Il commissario Becker ed io e siamo entrati nel locale e ci siamo divisi per monitorare meglio la situazione. Ad un tratto ho notato uno scambio sospetto tra dei ragazzi e un tizio”
Vince si accorse che la donna stava prendendo appunti e cercò di sbirciare.
“In seguito questo si è avvicinato ad altri tre uomini e ha passato una mazzetta di banconote al tipo che penso sia il capo”.
“Esattamente dove si trovava?” domandò il tenente senza smettere di scrivere.
“Al bar, cercavo di non dare troppo nell’occhio mescolandomi alla clientela”
“E non ha visto niente altro?”
“No, subito dopo si sono allontanati tra la folla”
“E ha riconosciuto Santiago?” l’interesse della donna era più che evidente.
“Io ho visto un uomo, probabilmente ispanico dai capelli scuri, gli occhi neri e il pizzetto. Portava un berretto da baseball” spiegò Jan.
Vince si voltò verso di lui, guardandolo orgoglioso, gli faceva impazzire quando era così professionale e serio. Il suo Jan era fin troppo modesto, se fosse stato sufficientemente ambizioso avrebbe potuto fare una brillante carriera.
“Io sono arrivato subito dopo” intervenne Vince “e abbiamo deciso di venirvi a riferire l’accaduto”
Il tenente prese un fascicolo da un cassetto e lo porse a Jan.
“Di che si tratta?”
“È il dossier che raccoglie ciò che sappiamo di questa banda di narcotrafficanti”
Jan lo sfogliò con foga, quasi come se cercasse qualcosa: “Hanno precedenti, vedo”
“Solo alcuni. Li abbiamo messi dentro un paio di volte per spaccio, ma sono pesci piccoli”
“Anche quel Santiago?” domandò il commissario non trovando la sua scheda.
“Lui è… ” sospirò come se non sapesse cosa dire: “Estefan Santiago è stato arrestato qualche mese fa, ma sfortunatamente abbiamo dovuto rilasciarlo. Non c’erano prove a suo carico” si mosse nervosamente sulla sedia, poi tossicchiò. “Precisiamo: è il capo, il re della zona” da un cassetto sottostante tirò fuori la sua foto segnaletica e gliela porse “Vede?”.
Quando gli occhi si posarono su quei lineamenti così familiari Jan impallidì. Cercò di fare finta di nulla, ma Vince si accorse di quel cambiamento. “Che hai, capo?”
“Niente” rispose duro
“Commissario, dobbiamo arrivare a lui per avere la possibilità di fermare questo traffico”
“Ce la metterò tutta!” intervenne Vince.
Lei annuì e aggiunse: “ Dovremo stabilire un contatto e prospettargli guadagni facili. Vedrete che, se risulterete abbastanza credibili, come mi auguro, si fiderà fino ad abbassare la guardia e sarà allora che lo fotteremo!” gli occhi scuri si puntarono sul giovane commissario. “Tutto dipenderà dalla sua bravura”
Jan aveva sperato fin all’ultimo che non avrebbero dato credito alla proposta del compagno: “Non sono d’accordo sulla sua decisione, tenente. Non ha qualche altro agente disposto a farlo?”
“Certo, i miei uomini non aspettano altro che prendere quei figli di puttana, ma sono facce conosciute. Non si può intraprendere un’operazione sottocopertura con nessuno di loro”
Vince lanciò un’occhiataccia all’amico “Abbiamo discusso fin troppo. Sono pronto a cominciare”
“Quali sono le sue perplessità, commissario Maybach?” il tenente non riusciva a capire perché si opponesse con tale fermezza, dopotutto erano a Miami proprio per quello!
“Io… insomma… non penso sia una buona idea! Il commissario Becker non si è mai infiltrato in una gang di narcotrafficanti, è giovane e inesperto”
“Sono certo di farcela, Jan” strinse i pugni, costatare che il compagno non avesse fiducia in lui lo faceva ribollire di rabbia.
“D’accordo. Spero solo che vada tutto per il meglio” intervenne la donna passandogli l’incartamento, compresa la foto di Santiago.
Vince vedendola aggrottò la fronte: aveva un’aria familiare.
“Bene, signori” il tenente si alzò porgendogli la mano “tra un paio di giorni saremo pronti” poi si rivolse solo a Vincent “Dovrà avvicinarlo e fargli intendere di voler acquistare un grosso quantitativo di roba”
“Al Choza?” domandò alzandosi a sua volta.
“Tentiamo anche lì e ovunque abbia una clientela”
Il tenente li accomiatò e Jan uscì dall’ufficio seguito da Vince. Quando furono al riparo da orecchie indiscrete il poliziotto più giovane sfogò tutta la sua frustrazione.
“Perché cazzo mi hai fatto quella scenata? Ti diverte farmi apparire come un incompetente?” il caldo afoso li investì.
“Scusami, non era mia intenzione” la mente altrove.
“Jan, si può sapere cosa ti succede? Dall’altra notte sei così strano. Ha forse a che fare con quel tipo?”
L’altro lo fissò sgranando gli occhi: “Che tipo?”
“Jan, credi non lo abbia capito?”
“Non c’è nulla da capire!” la voce tremò. Si voltò. “Andiamo, dobbiamo informare Haio”
Vince, rassegnato, alzò le braccia al cielo, mentre Jan raggiungeva l’auto.


Appena sceso dall’auto, Miguel fu costretto ad aggrapparsi alla portiera per non cadere. Jan lo raggiunse ridendo. Erano stati in un locale, lasciandosi andare a qualche tequila di troppo e ora erano decisamente brilli.
“Sei un disastro, Miguel” gli circondò la vita con un braccio: “dai, ti aiuto”
“Grazie, amico” si appoggiò a lui: “non so che farei senza di te”
“Guarda come ti sei ridotto. Non ti reggi in piedi” lo prese in giro.
“Non esagerare, sono solo inciampato”
“Sì, come no” accese l’antifurto poi lo aiutò a raggiungere il portone. “Te la senti di salire da solo?”
Miguel lo guardò con la sua aria da cucciolo, poi mise il broncio: “Perché non mi accompagni? Anzi, potresti restare“
“E Benny? Non posso lasciarlo” ma la tentazione era forte, tra l’altro, temeva di non essere nelle condizioni di rimettersi alla guida.
“Hai ragione, sono egoista a volerti tutto per me” gli rivolse un sorriso malandrino.
A quelle parole Jan abbassò la testa arrossendo. Da quando si erano baciati, sere prima, non aveva pensato ad altro “Andiamo, ti accompagno altrimenti rischi di romperti l’osso del collo”
Miguel prese le chiavi per aprire il portone e insieme si avviarono verso l’ascensore: il suo loft si trovava all’ultimo piano.
“Domani saremo due relitti, amico mio” ridacchiò lo spagnolo.
“Lo so, non avrei dovuto bere tutta quella tequila” Jan scosse il capo.
“Dovevamo festeggiare il mio compleanno” replicò l’altro.
“Peccato non ci fossero anche Hajo e Ina”
“Meglio così” si sporse in avanti, sembrava quasi volesse baciarlo.
In quel momento la cabina si fermò facendoli sobbalzare leggermente: “Dannato ascensore”imprecò appoggiandosi a Jan per non stramazzare a terra.
“Attento! Sei davvero un pasticcione”
Miguel rise. Quando le porte si spalancarono i due commissari uscirono sul pianerottolo.
Una volta all’interno dell’abitazione Miguel lanciò le chiavi sul tavolino: “Finalmente a casa, sono stanco morto”
“Hai bisogno di una bella dormita, amico mio ed anche io”
“Hai ragione!” si stiracchiò sbadigliando.
“Io vado” Jan si mosse verso l’uscita.
“No, resta” lo bloccò per un braccio.
“Non posso, Miguel” cercò di sfuggire dalla sua presa.
“Benny ormai è grande e poi, starà dormendo”Miguel si mosse barcollando verso il divano.
Sedette pesantemente trascinandolo con sé.
“E dove dovrei dormire? Qui c’è solo un letto!” obiettò incrociando le braccia al petto.
“E allora?” accorciò la distanza tra loro. “È grande abbastanza per entrambi”
Jan sgranò gli occhi e Miguel continuò divertito: “Che c’è? Hai paura che mi approfitti di te?” avvicinò il viso al suo.
“No, ma cosa ti salta in mente”
“Sai, Jan, devo confessarti che”gli occhi neri erano terribilmente brillanti: “da quando è accaduta quella cosa tra noi, insomma… ”
“Di che parli?” fece finta di niente.
“Del bacio, sai, la sera della festa per Ina”
“Avevamo bevuto, Miguel”
“Non faccio che pensarci”confessò appoggiando il braccio sullo schienale: “soprattutto a ciò che ho provato” gli sfiorò il collo con le dita.
Jan fremette e uno strano calore si propagò lungo il corpo: “Eravamo un po’ brilli e…”
“Ci siamo lasciati prendere dall’entusiasmo” concluse Miguel con un ghigno: “A te non è piaciuto?”
Arrossì “Che importanza ha”
“Davvero non ti ha importato? O guarda sei diventato tutto rosso! Il commissario Maybach che arrossisce” lo prese in giro.
“Finiscila” lo spintonò ridendo.
“Sei arrossito” lo pizzicò sul torace e poi sotto le ascelle.
Ne scaturì una lotta nella quale Miguel ebbe la meglio. Lo spinse supino sovrastandolo con il peso del suo corpo “Ti arrendi?”
“Mai!”
“Arrenditi, Jan!” ordinò continuando a solleticarlo.
“Okay, mi arrendo” si contorse cercando di sfuggire a quella tortura.
“Lo sapevo”sul volto di Miguel apparve un’espressione soddisfatta “sono il migliore”
“Stupido” lo spinse via.
Senza preavviso Miguel tornò a pressarsi su di lui bloccandogli le braccia dietro la testa “Ora, sei in mio potere”
“Dai, lasciami ti ho detto che mi sono arreso!” gli girava la testa. Chiuse gli occhi per un attimo, e quando li riaprì, quelli di Miguel erano a pochi millimetri dai suoi.
“Miguel...” sussurrò. Lo pronunciò con una tale dolcezza e arrendevolezza che lo spagnolo non riuscì a trattenersi. Si sporse verso di lui e lo baciò. Jan, dapprima inebetito, rispose socchiudendo le labbra.
Miguel approfondì quel bacio che bramava fin dall’inizio della loro serata insieme “Jan” lasciò scivolare la mano sotto la maglietta accarezzando il ventre.
“Mio dio” gemette Jan godendo del suo tocco sulla pelle incandescente.
Jan scese a lambire la cicatrice con la lingua, poi giù verso il mento fino al pomo d’Adamo. Miguel buttò la testa indietro chiudendo gli occhi, mentre Jan continuava il suo cammino mordicchiando il collo.
Nella stanza solo il suono dei loro ansiti. Si spostarono sul letto, incollati, incapaci di smettere di baciarsi e toccarsi come se per via di un misterioso incantesimo non fossero più in grado di restare separati un istante.
Miguel lo spinse supino stendendosi su di lui. Gli sfilò la maglia lanciandola attraverso la stanza, poi gli perlustrò il petto con la bocca: “Come sei bello, cucciolo” lasciò una scia umida fino all’ombelico.
Jan inarcò la schiena lasciandosi andare: “Miguel”
“Ti voglio da morire, Jan” alzò il capo incontrando i suoi meravigliosi occhi azzurri.
“Anche io ti voglio, ma non così”
“Come?”
“Abbiamo bevuto, le nostre percezioni sono alterate dall’alcool. Non sarebbe giusto”
Miguel distolse lo guardo, ma sapeva che Jan aveva ragione.
“Miguel, devi capire: voglio che desideri fare l’amore con me con tutti i tuoi sensi e non perché reso coraggioso dall’alcol!”
Comprese cosa stava tentando di dire. “Mi dispiace” s’imbronciò: “perdonami se ti sono saltato addosso”
“Non mi sei saltato addosso, Miguel, lo abbiamo voluto entrambi” Jan gli alzò il mento con un dito “capito?”
“Sei tu il capo” ridacchiò.
“Non riesci mai ad essere serio” Jan gli sferrò uno scappellotto dietro la nuca.
Miguel non replicò e preferì appoggiare la testa sul suo petto, accarezzando i peli con le dita: “Mi si chiudono gli occhi” e dopo un attimo sprofondò in un sonno profondo.
Jan lo strinse maggiormente a sé addormentandosi a sua volta.
Furono destati dal trillo invadente della sveglia. Miguel scattò seduto, Jan nascose la testa sotto il cuscino “Spegni quell’aggeggio infernale!”
“Cazzo, ma che ore sono?”
“È sabato, Miguel, il nostro giorno libero, voglio dormire!” protestò voltandosi dall’altra parte.
Miguel appoggiò la mano sulla sveglia facendola finalmente tacere: “Siamo crollati come sassi, stanotte”
“Ho la testa che mi scoppia” si lamentò Jan voltandosi a guardarlo, Miguel costatò che aveva due enormi occhiaie e i capelli spettinati.
“Povero cucciolo” avvicinò il viso al suo, poi posò le labbra sulla fronte baciandola dolcemente “va meglio?”
“Un pochino”
Si guardarono per qualche istante, poi Jan lo attirò a sé cercandogli voglioso la bocca. Miguel si stese su di lui e con ardore accarezzò il torace muscoloso. Scese a mordergli il mento. Jan si lasciò sfuggire un gemito, mentre l’erezione premeva contro la stoffa dei boxer.
Le mani di Miguel si mossero fino all’indumento intimo sfiorandone il bordo.
“Adoro il tuo corpo, Jan” sussurrò tra i baci.
“Non ti fermare, toccami” lo supplicò prendendogli la mano e infilandosela nella biancheria.
Miguel non attese oltre, circondò il membro per dargli piacere.
Jan inarcò la schiena chiudendo gli occhi. Miguel, ritornato a baciarlo, aumentò il ritmo.
“Ti voglio Jan” confessò con desiderio “e non so se riuscirò a fermarmi, questa volta”
“Bene!” il suo sguardo era pieno di maliziosi sottintesi.
“Cosa vuoi da me esattamente?” Miguel sorrise sornione.
“Fammi tuo”
A Miguel si fermò il cuore per qualche secondo. “Ho capito bene cucciolo? Mi vuoi davvero?” sembrava commosso, emozionato. Di certo sconvolto.
“Ti voglio sì, voglio sentirti dentro di me, Miguel”
“Sei sicuro, Jan. Non è che dopo ti pentirai e mi odierai...”
“Anche con le ragazze ti fai tutti questi scrupoli? Ecco perché non concludi mai!”
“Che stronzetto!”
Jan tornò serio. “Te lo giuro Miguel, non sono mai stato più sicuro di qualcosa in vita mia” assicurò attirandolo di nuovo a sé: “prendimi, commissario Alvarez”
“Come il capo comanda” ridacchiò insinuandosi tra le sue gambe: “cercherò di fare piano”
Avvertendo la sua preoccupazione, Jan decise di confessargli qualcosa che non aveva mai raccontato ad anima viva: “Miguel, non devi preoccuparti di farmi male perché non è la mia prima volta”
“Cosa? Di che stai parlando, Jan?”l’ispanico era esterrefatto.
“Quando ero a Colonia mi infiltrai per sgominare un traffico di droga e fu in quell’occasione che...” lasciò la frase a metà: “lo incontrai. Lui si innamorò di me e io ne fui soggiogato. Era così affascinante, ma in seguito scoprii che era lo spacciatore e fui costretto ad arrestarlo.”
Miguel ascoltò il suo racconto a bocca aperta: “Ci hai fatto l’amore?”
Jan annuì e all’idea di lui con un altro, Miguel provò una fitta nel petto.
“Era solo sesso”Jan gli accarezzò una guancia, ma lui si scansò: “Miguel, non reagire così”.
“E come dovrei reagire! Mi spari una notizia del genere. Un bastardo fortunato, quello!”
“Tu lo sei di più” Jan lo strinse a sé “hai il mio cuore”
A quelle parole Miguel fremette e cercò le sue labbra. Lo spinse supino e, dopo avergli calato i boxer, si stese su di lui baciandolo e accarezzandolo dolcemente.
Jan gli spiegò dove voleva essere toccato, baciato. Ansimò realizzando quando Miguel fosse veloce nell’apprendimento, ma quando lo penetrò, Jan urlò, ci aveva messo troppa enfasi.
Miguel si ritrasse preoccupato “Fa male?”
“Un po’. È da tanto”
“Scusa”
“Non importa”
Miguel lo penetrò di nuovo, senza staccare lo sguardo dall’amato. Cominciò a muoversi, prima lentamente, poi con maggiore decisione. Quando il suo sesso trovò un punto particolarmente sensibile, Jan gemette, poi gli circondò i fianchi con le gambe per approfondire la penetrazione “Non ti fermare, mi stai facendo impazzire”
Miguel, eccitato, lo accontentò. Giacché il suo corpo ne era in grado, voleva farlo godere il più possibile.
“Miguel” ripeté l’altro senza sosta toccandosi fino a quando non venne.
Un ultimo affondo e anche Miguel raggiunse il culmine. Si accasciò esausto.
I corpi erano ricoperti da uno strato di sudore, i capelli di Jan appiccicati alla fronte e il fiato ansimante.
“È stato grandioso, Miguel” gli accarezzò la nuca.
“Ma con la pratica si può anche fare di meglio”
“Presuntuoso” rise.
Non uscirai da questo letto finché Miguel Alvarez non ti avrà sfiancato, hai la mia parola!”
“Prospettiva estremamente interessante”
Miguel si sporse per baciarlo riaccendendo così la passione.

Jan si rese conto di non essere più con Miguel, ma nella sua camera da letto con Vince che lo fissava stranito.
“Che hai?” domandò sfiorandogli una spalla nulla.
“Niente” abbozzò un sorriso. Stava impazzendo ed era tutta colpa di quel posto.
Vince annuì, ma sapeva che stava mentendo.

martedì 24 maggio 2011

Bienvenido a Miami capitolo 2




Bienvenido a Miami

Soko Leipzig
Personaggi: Vince Becker, Jan Maybach
NC-17
I personaggi non mi appartengono.
Un grazie speciale alla mia socia e nonché editor Giusi senza la quale questa fic forse non avrebbe neanche visto la luce.

2

L’incarico a Miami si era rivelato più difficile del previsto. Non c’era alcuna traccia di prove che collegassero i capi delle bande schedate al traffico con l’Europa. Il tenente Sanchez cominciava a pensare che la presenza dei due tedeschi fosse superflua giacché non erano riusciti a cavare un ragno dal buco. Dopo il settimo giorno non redditizio la donna fece sapere che qualcuno si sarebbe dovuto imbucare a qualche festa nelle discoteche più frequentate dagli spacciatori per controllare la situazione. Jan, pungolato da Vince, deciso a dimostrare che non erano lì solo in vacanza, si fece avanti. Sarebbero stati loro ad operare in incognito, in fondo, non era nemmeno la prima volta che lavoravano sotto copertura.
Ore dopo erano davanti al “Choza” locale frequentato soprattutto da giovani di origine ispanica. I commissari furono costretti ad indossare degli abiti alla moda per passare inosservati. Si erano recati quel pomeriggio stesso in un negozio dell’usato. Jan fasciato in un paio di jeans scoloriti e una canottiera bianca e camicia rossa aperta. Vince, a sua volta, indossava pantaloni con i tasconi e una camicia a quadri. Vince fissò il compagno estasiato, era sexy anche con quegli stracci che nascondevano il corpo statuario. Aveva sempre trovato Jan attraente ma si era accorto che si stava innamorando di lui in un'occasione che non avrebbe più cancellato dalla memoria, quando lo aveva sorpreso a guardare in lacrime la foto che lo ritraeva insieme al suo ex collega, Alvarez.
Con la mente ritornò a pochi mesi prima.


Durante il tragitto dall’ufficio del socio d’affari di Holtz al Commissariato Jan mantenne un rigoroso silenzio. Vince lo scrutò incuriosito, forse era colpa sua o magari Jan non aveva voglia di parlare con lui.
Sapeva solo che quella situazione non poteva continuare, non sopportava di vederlo in quello stato. Jan rischiava di esplodere da un momento all’altro.
“Ti va una birra?” propose nella speranza di farlo distrarre.
“Dobbiamo fare rapporto ad Haio” rispose senza staccare lo sguardo dalla strada.
“E dopo il turno?” insistette. “O devi tornare dalla tua ragazza?”
Jan sospirò: “No, Leni non mi aspetta, ma non posso. Io… sono a dieta“
“Su, capo, non farti pregare. Offro io”
L’altro finalmente si voltò a guardarlo, poi abbozzò un sorriso, il primo da settimane: “E va bene”
“Grande” ghignò soddisfatto: “sai, Jan, dovresti sorridere più spesso”
Jan distolse lo sguardo imbarazzato, poi parcheggiò davanti al commissariato.
Vince scese per primo: “Dai, togliamoci questa rogna, ho voglia di fare baldoria”
“Fa parte del nostro lavoro redigere i rapporti!”
“Lo so, ma è noioso e poi, detesto scrivere” insistette il commissario più giovane.
Jan scosse la testa, mentre lo spingeva verso l’entrata.
Ore dopo sedevano ad un tavolo in un pub della periferia, Jan sorseggiava la sua birra,nonostante il pericolo incombente di ingrassare mentre Vince si ingozzava di patatine fritte sotto lo sguardo scandalizzato del collega: “Non ti faranno male tutte queste porcherie?”
Ogni giorno che passava quel ragazzo gli ricordava di più Miguel, anche nel modo di mangiare. Nel ripensare al compagno scomparso si rattristò.
Vince rendendosi conto del suo stato d’animo, gli appoggiò una mano sul braccio. “Ti va di parlarne?”
“Parlare di cosa?”
“Del perché ogni tanto sembra che ti sia passato un autotreno sulla testa, Jan” Vince lo fissò con dolcezza.
Jan tacque, non gli andava di confidarsi, erano cose intime, private che non aveva mai detto a nessuno.
“C’è qualcosa che non va con Leni?” alzò la mano per ordinare altre due birre.
“Tutto”
“Mi spiace, il capo lo sa?”
“No, ma il fatto è che…” s’interruppe: “ha accettato un lavoro a Londra. Immagino presto dovrà dirglielo”
“E tu che farai?” la stretta sul suo braccio aumentò.
“Non ne ho idea, Vince, mi sento impotente. Leni ha fatto la sua scelta e io… “ si bloccò: “non so se valga la pena di lottare per questa storia”
“Dipende, tu la ami?”
Jan lo guardò, poi scosse la testa: “Credo che il mio amore si sia esaurito con il tempo o forse… non l’ho mai amata come ho amato…”
“Tua moglie?” tirò ad indovinare, in realtà, non sapeva quasi nulla della vita del suo collega.
“No, non Anja” abbassò lo sguardo giocherellando col tovagliolo di carta.
Vince cominciò a realizzare il perché delle lacrime che gli aveva visto versare solo poche ore prima “Si trattava di Miguel Alvarez, vero?”
Jan si voltò a fissarlo, poi annuì, che senso aveva continuare a celare ciò che era stato? Tra l’altro non era nemmeno un segreto, anche Ina lo sapeva e forse anche Leni lo aveva sospettato.
Cominciò a raccontare: “Io e Miguel eravamo una cosa sola. Dapprima colleghi, poi amici e infine… innamorati” sospirò tristemente per poi terminare la seconda birra.
“Mi dispiace, so che è accaduto in servizio, ma…” non sapeva cosa chiedere di preciso.
Jan agguantò una patatina portandosela alle labbra: “Un ragazzino che lui credeva di poter salvare ha sparato colpendo per sbaglio Miguel alla schiena”
“Tu eri presente?”
“Mi è spirato tra le braccia” le lacrime cominciarono a scorrere dalle guance: “sono caduto in uno stato depressivo serio, stavo per lasciare la polizia, mollare tutto”
Vince ascoltò il suo sfogo senza intervenire, mentre qualcosa nell’animo si agitava. Aveva sempre trovato Jan attraente, ma il vederlo così umano e fragile, lo rendeva ancora più affascinante ai suoi occhi. Non se lo aspettava da un uomo apparentemente tutto d’un pezzo come il commissario Maybach.
“Con l’aiuto di Leni sono riuscito a venire fuori dal buco nero nel quale ero sprofondato”
“Mi dispiace, Jan” appoggiò la mano sulla sua: “non posso neanche immaginare quello che avrai passato, ma se ti può essere di conforto, ti sono vicino” sfiorò le dita pentendosene immediatamente. Ritrasse la mano aggiustandosi poi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Jan lo guardò intensamente, soffermandosi su ogni particolare del suo viso. Era molto bello, con gli occhi verdi dai riflessi dorati e uno dei sorrisi più dolci che avesse mai visto. Per la prima volta dopo Miguel, si sentiva attratto da un altro uomo, ma si disse che doveva essere colpa della birra.
Vince, sentendosi osservato, gli sorrise: “Ti va di camminare? Credo di aver esagerato”
“Sei tutto rosso, forse un po’ d’aria ti farà bene, Vince” scese dallo sgabello e si avvicinò. “Vuoi una mano?”
“Ce la faccio” fece per mettersi in piedi, ma una gamba cedette e se non fosse stato per la prontezza di riflessi di Jan, sarebbe finito sul pavimento.
Gli circondò la vita con un braccio, i loro visi potevano quasi sfiorarsi. Vince avvertì il respiro caldo sulla pelle, lo fissò socchiudendo le labbra mentre il cuore martellava con violenza.
“Usciamo” la voce profonda del collega lo costrinse a trasalire.
Vince si districò dalla sua stretta, anche solo la vicinanza lo turbava, come avrebbe continuato a lavorargli accanto senza tradirsi? Erano questi i suoi pensieri quando l’aria fresca lo investì. Chiuse gli occhi e respirò a pieni polmoni, doveva calmare i bollenti spiriti.
“Non stai bene, Vince?” gli fu nuovamente accanto.
Il commissario più giovane si voltò verso di lui, lesse apprensione nello sguardo: “Sei preoccupato per me, capo?” sogghignò malizioso.
“Non vorrei doverti sorreggere fino a casa” ribatté imbarazzato.
“Non abito lontano”
“Ah, non lo sapevo” ammise.
“Immagino ci siano molte cose che non sai del sottoscritto”
Jan non replicò, aveva ragione, non gli era mai interessato conoscere bene il collega e solo ora si rendeva conto che forse Vince pensava che fosse in collera con lui.
“Devo essere stato un vero stronzo con te, vero?” calciò un sassolino
“All’inizio pensavo mi odiassi, ma poi ho capito che era un modo per proteggerti, non volevi affezionarti”
Jan lo fissò incredulo, Vince era riuscito ad andare a fondo, a comprendere il perché del suo atteggiamento distaccato.
“Non te le faccio una colpa, Jan. Hai sofferto e per far sì che questo non accadesse di nuovo, hai deciso di tenere a distanza le persone”
“Sei molto perspicace” Jan gli rivolse un sorriso così dolce che Vince si sentì rimescolare dentro: “anche io ci ho messo molto a capirlo, non volevo ammetterlo neanche con me stesso. Il fatto è che Miguel mi manca”
“Lo so, Jan” Vince si fermò di colpo voltandosi a guardarlo: “ma spero diventeremo amici, non voglio che tu mi veda come un usurpatore”
“Non lo sei, Vince. Mi trovo molto bene in tua compagnia”
“Sono contento” Vince accorciò le distanze e, vedendo che Jan non accennava ad allontanarsi, posò le labbra sulle sue. Le baciò dolcemente.
Il compagno s’irrigidì staccandolo da sé: “Ma cosa…? Vince sei forse impazzito?” lo fissò stupito da quel gesto.
“Cazzo, che idiota che sono” infilò una mano nei capelli. Aveva combinato un bel pasticcio: “scusami, Jan, non so cosa mi è preso”
In quell’istante si rese conto di essere sotto il suo portone. In preda al panico si mosse per entrare nel palazzo.
“Notte, amico. Dimentica tutto” evitò il suo sguardo.
Un attimo dopo il corpo massiccio di Jan lo schiacciò contro il muro e la bocca fu sulla sua. Lo baciò con foga. Un assetato nel deserto. Vince era la sua oasi.
Il commissario più giovane rispose con bramosia insinuando le mani sotto la maglia. Sfiorò gli addominali marmorei, ansimò immaginando la sua bocca su quel corpo.
Si staccò per respirare, gli occhi di Jan brillavano di passione. Con la punta della lingua gli accarezzò le labbra tumide prima di ritornare a possederle, sembrava insaziabile.
Vince approfondì il bacio incontrando la sua lingua, le dita artigliarono una ciocca di capelli tirandola con forza “Jan”
“Vince” si spostò sul mento, poi giù fino al collo.
Vince si aggrappò a lui quasi come se temesse di cadere, le gambe come gelatina. Tutto solo per un bacio. Si chiese cosa avrebbe provato a fare l’amore con lui!
“Temevo non volessi” sussurrò poi.
“Non sapevo di volerlo” il respiro di Jan era affannoso.
“Meglio tardi che mai” ridacchiò Vince.
“Già, meglio tardi che mai” ripeté Jan staccandosi “Ora vado, Vince” sapeva che se fosse rimasto avrebbe compiuto qualcosa di avventato.
“A domani, capo” sogghignò leccandosi le labbra come per assaporare ancora il gusto dei suoi baci.
Jan fece per attraversare la strada quando Vince lo trattenne per un braccio “Aspetta”
Lo attirò a sé tornando a reclamare la sua bocca, ora che ne aveva avuto un assaggio, non poteva più farne a meno. Jan si lasciò andare dimenticando il motivo per cui aveva deciso di non restare.


Jan appoggiò una mano sulla spalla di Vince facendolo trasalire.
“Sei pronto?”
“Sì” rispose risoluto.
“Entriamo, allora” lo condusse dentro il locale.
L’aria era satura di fumo, le luci psichedeliche e la musica assordante li investirono costringendoli a fermarsi per abituare gli occhi e le orecchie. Intorno a loro decine di persone ballavano al ritmo di Sean Paul. Erano per lo più di origine ispanica, ma si intravedevano anche ragazzi dalla pelle bianca. Jan fece cenno a Vince di separarsi, poi si diresse verso il bar, non c’era verso che si spacciasse al centro della pista. Era più probabile che lo smercio avvenisse nei bagni o nella zona privé. Sedette al bancone, guardandosi intorno circospetto, si sentiva proprio come un pesce fuor d’acqua. Non c’erano molti della sua età. Ai loro occhi doveva apparire vecchio e la cosa non gli piacque affatto. Una ragazzetta dai lunghi capelli neri e il piercing al naso, fasciata in un mini abitino che non lasciava molto spazio all’immaginazione, gli si avvicinò sinuosa “Ciao, bello” urlò per sovrastare la musica “mi offri bere?”
Jan la osservò, non doveva avere più di diciotto anni.
“Cosa prendi?” domandò in inglese
“Tequila, biondino. Non sei di queste parti, vero?” doveva essere portoricana a giudicare dalla carnagione.
“No, sono tedesco”
“Mi piacciono i tedeschi, anche se si dice siano un po’ freddi” bevve tutto d’un sorso la tequila che il barista le appoggiò davanti.
“Non sei troppo giovane?”
Lei lo fissò facendo una smorfia “Che sei uno sbirro? Vuoi arrestarmi?”
“Secondo te ho la faccia da sbirro?” ridacchiò nervosamente.
“In realtà, sì. Un piedipiatti molto affascinante” avvicinò maggiormente il viso al suo: “lo sei?”
“Stai scherzando vero? Figurati. Comunque, io sono Jan e tu come ti chiami?”
“Maria” gli si strusciò contro “mi piacciono quelli della tua età, così esperti e pronti a tutto”
Non abituato a tanta intraprendenza, Jan arrossì. Si guardò intorno in cerca di Vince, ma del compagno non c’era neanche l’ombra. Ne approfittò per spizzare anche la sala. Lei gli appoggiò una mano sulla coscia, ma Jan la scansò prontamente “Non sono interessato”
“Sei frocio per caso?” sbottò stizzita. Pur non parlando l’inglese perfettamente, il termine queer lo comprese benissimo.
Fece per risponderle quando un assembramento alla sua destra ne attirò l’attenzione. La ragazza gli inveì contro per qualche istante, prima di andarsene offesa, ma Jan era troppo preso da quel gruppetto di giovani appoggiati alla parete per darle retta. Un attimo dopo si aggregò un altro tizio, massiccio, con i capelli rasati, la canottiera bianca e un paio di jeans. Dopo i saluti di rito, cacciò qualcosa dalla tasca posteriore e la porse ad uno dei ragazzi che in cambio gli elargì un fascio di dollari. Jan s’irrigidì, probabilmente si trattava di uno degli spacciatori che stavano cercando. Li osservò con attenzione, in particolare, l’ultimo venuto cercando di memorizzare i suoi lineamenti. Un attimo dopo questi si allontanò e si diresse verso la zona privè dalla quale uscirono tre uomini. Due erano talmente grossi che non potevano che essere delle guardie del corpo, mentre l’altro, più magrolino, folti ricci neri e un pizzetto, celava il volto sotto la visiera di un berretto da baseball. Portava una maglietta nera aderente e jeans di varie taglie più grandi, dai quali s’intravedeva il bordino nero degli slip firmati Armani.
Il trio si bloccò e l’uomo con il berretto si avvicinò al pusher per sussurrargli qualcosa all’orecchio.
Lo spacciatore lasciò scivolare la mazzetta di dollari nelle sue mani e il commissario esultò, aveva fatto centro: era lui il capo.
Sceso dallo sgabello si mosse per raggiungere il gruppetto e proprio in quel momento quello con il berretto alzò per un attimo la visiera dandogli così la possibilità di osservarlo senza essere notato.
Ciò che vide lo sconvolse: “Non è possibile” mormorò fissando inebetito quei lineamenti così familiari, gli occhi scuri. Il cuore accelerò i battiti, le gambe divennero pesanti.
Abbassò il capo per qualche istante, ma quando ritornò a guardare era sparito e così gli altri tre: si erano dileguati nella folla. Li cercò disperatamente, odiandosi per esserseli lasciati sfuggire.
“Dannazione” infilò le dita nella chioma cercando di riprendersi dallo shock. Provò a mettere da parte quel pensiero, ma la somiglianza era troppa.
Si voltò di scatto ritrovandosi davanti Vince che lo fissava apprensivo: “Che c’è? Hai una faccia!”
“Dov’eri? C’è stato uno scambio di roba” Jan ritornò il poliziotto professionale di sempre.
“Dove?” si guardò intorno.
“Come dove. Qui, Vince. Dannazione, mi sono sfuggiti!”
“Cazzo” imprecò il più giovane guardandosi intorno.
“Mi sono distratto e si sono dileguati”
“E se facessi da esca?” propose Vince: “Potrei fingermi interessato alla roba, vedrai che ci cascheranno”
“Non esiste, Vince”
“Ma…” non capiva il suo atteggiamento: “Non ti fidi di me? Pensi possa mandare all’aria l’operazione?”
“Non è questo”
“È così! Credi che non sia all’altezza della missione?”
“Sei un ottimo poliziotto, Vince” gli appoggiò una mano sulla spalla massaggiandola: “è solo che…”
“Cosa, Jan! È solo cosa?” alzò la voce, la musica impediva ad altri di captare i loro discorsi.
“Non voglio che ti accada qualcosa” ecco, finalmente lo aveva detto.
Gli occhi del giovane s’illuminarono: “Jan, non mi succederà nulla” accorciò le distanze “so quello che faccio e poi, non sono ancora pronto a lasciarti”
Jan impallidì: “Non dirlo neanche per scherzo. Ho già perso Miguel, non perderò anche te”
Vince lo attirò a sé e, incurante della folla che li circondava, lo baciò. Fu dolce, ma allo stesso tempo colmo di passione. Un bacio che sconvolse entrambi. Quando finalmente si staccarono Vince gli prese la mano accarezzando le dita con le proprie, poi se le portò alle labbra “Facciamo rapporto e torniamo in albergo”
“Non aspetto altro, Vince”
“Bene” senza attendere oltre, lo condusse all’esterno attraverso l’uscita secondaria.
Una leggera brezza li investì scompigliando i capelli di Vince. Il vicolo era deserto, Jan aguzzò la vista alla ricerca degli uomini della Narcotici appostati nella zona.
Il tenente Sanchez uscì dal vicolo seguita da uno dei suoi uomini. Li fissò in attesa: “Avete avuto qualche riscontro? La prossima volta useremo delle cimici così avremo la possibilità di ascoltare”
Jan si fece avanti: “Abbiamo fatto centro. Non solo questo è il loro territorio d’azione, ma ci opera pure qualcuno che si muove come uno che conta”
“Come fa ad essere certo che sai tratti di un capo clan?”
“Uno degli spacciatori gli ha passato un rotolo di banconote e poi si vedeva che era temuto”
“Dunque ha assistito ad uno scambio” il tenente era estremamente interessata.
“Sì, tra un gruppo di ragazzi sui diciotto anni e un tipo massiccio con la testa rasata”
“Mentre il tizio che lei deduce fosse il capo come era fatto?”
Il commissario tedesco abbassò lo sguardo: “Capelli scuri, occhi neri e fisico snello, con pizzetto e baffetti. Alto quanto me, portava in testa un berretto da baseball” imbarazzato, infilò le mani in tasca.
“Estefan Santiago” mormorò tra i denti.
“Merda!” imprecò l’altro poliziotto, un bel giovane dai capelli biondi e il viso abbronzato. “Quel bastardo ha le mani in pasta in tutto. È il re della zona”
“Dovevamo capirlo che c’era lui dietro questo traffico”
“Sembrava molto sicuro di sé e si muoveva tra la folla come se fosse il padrone” aggiunse Jan
“Ottimo lavoro, commissario Maybach” si congratulò il tenente divorandolo con gli occhi.
Jan le sorrise e Vince sbuffò seccato “Io avrei un’idea per avvicinarlo! Ne parlavo con Jan… il commissario Maybach proprio pochi minuti fa”
“Di che idea si tratta, vice commissario Becker?”
Tre paia di occhi si posarono su di lui: “L’unico modo per stabilire un contatto sarebbe fingersi interessati alla loro merce”
“In questo modo non arriveremo a niente, solo ai pusher” obiettò il tenente.
“No se il quantitativo di roba è rilevante”
“Commissario, sia serio, perché mai un singolo cliente dovrebbe aver bisogno di grandi quantitativi? Potrebbero pensare che stia cercando di fregarli rivendendo la roba”
“La roba sarà per un pezzo grosso” spiegò il giovane per nulla intimorito dalle loro obiezioni “se gli faremo credere di lavorare per qualche grosso trafficante…”
“È una follia” lo interruppe Jan: “non ci cascheranno mai e il fallimento è dietro l’angolo”
“Hai un’altra idea, capo?” Vince si voltò verso di lui fulminandolo.
Il tenente Sanchez dopo un’attenta riflessione disse: “A me sembra un piano attuabile. Bisognerà studiarlo nei minimi particolari, ma potrebbe funzionare. Complimenti, vice commissario Becker”
“La ringrazio”
“Dobbiamo solo decidere chi farà da esca”
“Io” si propose Vince: “mi sembra logico che sia io a stabilire il contatto”
“Ne abbiamo già discusso” intervenne Jan: “ho maggiore esperienza di te”
“Jan, non saresti credibile! Devo farlo io!” insistette.
“Ne parlerò anche con i miei superiori e poi vi farò avere notizie. Fino ad allora, vi chiedo di restare a disposizione”
I due poliziotti tedeschi annuirono e la osservarono allontanarsi seguita dal suo sottoposto.
Una volta soli Jan si avviò verso l’auto, ma Vince lo fermò: “Credevo avessi capito quanto ci tenessi a dimostrare che non sono un pivello”
“Dannazione, Vince, sono un tuo superiore e obbedirai ai miei ordini!”
“Cosa succede, Jan? Perché devi essere così stronzo?” c’era rabbia nella voce.
“Non voglio che ti accada nulla, se questo è essere stronzi, allora, sì lo sono” era alterato, le gote arrossate e gli occhi fuori dalle orbite.
“Siamo poliziotti. Il nostro lavoro ci impone di rischiare, non lo facciamo sempre?” gli fu accanto.
Jan gli voltò le spalle, e di rimando Vince si pressò contro la sua schiena: “Scusami per averti dato dello stronzo. Non lo pensavo davvero. Tu sei la cosa più bella che mi sia capitata e non voglio litigare con te”
“No, hai ragione. Lascio che i sentimenti interferiscano con le mie decisioni” Jan sospirò avvertendo il suo alito caldo sul collo.
“Se deciderai di non lasciarmi provare lo capirò” Vince posò una serie di piccoli baci sul collo.
“Vince” ansimò: “non ce la fai proprio ad aspettare di essere in camera? Potrebbero vederci!”
“Siamo soli, non vedo nessuno qui intorno e poi, sei così desiderabile, capo. Che ne diresti se ti sbattessi contro quel muro e ti facessi una bella perquisizione?” gli sferrò una pacca sul sedere.
“Mi vuoi perquisire? Non sono un delinquente” sogghignò Jan.
“Voglio vedere cosa nascondi qui” la mano si posò tra le gambe.
“Vince, questa incursione nella malavita ti ha reso audace” s’interruppe: “e sai che ti dico? Potrebbe anche piacermi”
“E non hai ancora visto nulla” insinuò le dita nei pantaloni fin troppo larghi.
“Cosa penserebbero se ci sorprendessero a fare sesso in un vicolo?”
“Dolcezza, siamo a Miami, non a Lipsia. Chi vuoi che ci badi” lo spinse contro il muro.
Jan si guardò intorno circospetto “Vince, andiamo in albergo, non mi sento a mio agio”.
“E va bene!” sospirò rassegnato. “Il tuo comportamento così ligio mi fa passare ogni fantasia di trasgressione”
Jan lo attirò a sé baciandolo, forse per quella volta avrebbe potuto anche lasciarsi andare.
Vince rispose con altrettanto trasporto, ma un attimo dopo un rumore li fece scattare allarmati.
Un gatto saltò sul cassonetto accanto a loro, Vince scoppiò a ridere: “Abbiamo i nervi a fior di pelle, eh?”
“Sarà questo caso e poi… ” si morse la lingua, stava per rivelargli ciò che gli era accaduto all’interno del locale, ma poi si bloccò. Non aveva senso informarlo, in quanto aveva deciso che era stato solo un abbaglio.
“Cosa?”
“Niente” scosse il capo.
”Lo sai che ti amo, Jan, vero?”
“Era un po’ che non me lo dicevi” tracciò la curva del viso con un dito.
“Scusa”
“Non scusarti, io lo so che mi ami. Ora, allontaniamoci da questo posto, puzza di qualcosa di indefinito” Jan arricciò il naso disgustato.
“Come siamo schifiltosi” lo prese in giro “dovrei chiamarti mio piccolo Lord”
“Spiritoso” lo spinse verso l’auto.

Ritorno

Dopo mesi di assenza a causa delle presentazioni di Lezioni di tango riprendo finalmente possesso del mio blog. Ho intenzione di riprendere a postare tutte le fic che avevo interrotto così che i miei lettori potranno ricominciare a sognare con i personaggi da loro tanto amati. La prima fic che posterò è "Bienvenido a Miami" che avevo interrotto al primo capitolo.