martedì 24 maggio 2011

Bienvenido a Miami capitolo 2




Bienvenido a Miami

Soko Leipzig
Personaggi: Vince Becker, Jan Maybach
NC-17
I personaggi non mi appartengono.
Un grazie speciale alla mia socia e nonché editor Giusi senza la quale questa fic forse non avrebbe neanche visto la luce.

2

L’incarico a Miami si era rivelato più difficile del previsto. Non c’era alcuna traccia di prove che collegassero i capi delle bande schedate al traffico con l’Europa. Il tenente Sanchez cominciava a pensare che la presenza dei due tedeschi fosse superflua giacché non erano riusciti a cavare un ragno dal buco. Dopo il settimo giorno non redditizio la donna fece sapere che qualcuno si sarebbe dovuto imbucare a qualche festa nelle discoteche più frequentate dagli spacciatori per controllare la situazione. Jan, pungolato da Vince, deciso a dimostrare che non erano lì solo in vacanza, si fece avanti. Sarebbero stati loro ad operare in incognito, in fondo, non era nemmeno la prima volta che lavoravano sotto copertura.
Ore dopo erano davanti al “Choza” locale frequentato soprattutto da giovani di origine ispanica. I commissari furono costretti ad indossare degli abiti alla moda per passare inosservati. Si erano recati quel pomeriggio stesso in un negozio dell’usato. Jan fasciato in un paio di jeans scoloriti e una canottiera bianca e camicia rossa aperta. Vince, a sua volta, indossava pantaloni con i tasconi e una camicia a quadri. Vince fissò il compagno estasiato, era sexy anche con quegli stracci che nascondevano il corpo statuario. Aveva sempre trovato Jan attraente ma si era accorto che si stava innamorando di lui in un'occasione che non avrebbe più cancellato dalla memoria, quando lo aveva sorpreso a guardare in lacrime la foto che lo ritraeva insieme al suo ex collega, Alvarez.
Con la mente ritornò a pochi mesi prima.


Durante il tragitto dall’ufficio del socio d’affari di Holtz al Commissariato Jan mantenne un rigoroso silenzio. Vince lo scrutò incuriosito, forse era colpa sua o magari Jan non aveva voglia di parlare con lui.
Sapeva solo che quella situazione non poteva continuare, non sopportava di vederlo in quello stato. Jan rischiava di esplodere da un momento all’altro.
“Ti va una birra?” propose nella speranza di farlo distrarre.
“Dobbiamo fare rapporto ad Haio” rispose senza staccare lo sguardo dalla strada.
“E dopo il turno?” insistette. “O devi tornare dalla tua ragazza?”
Jan sospirò: “No, Leni non mi aspetta, ma non posso. Io… sono a dieta“
“Su, capo, non farti pregare. Offro io”
L’altro finalmente si voltò a guardarlo, poi abbozzò un sorriso, il primo da settimane: “E va bene”
“Grande” ghignò soddisfatto: “sai, Jan, dovresti sorridere più spesso”
Jan distolse lo sguardo imbarazzato, poi parcheggiò davanti al commissariato.
Vince scese per primo: “Dai, togliamoci questa rogna, ho voglia di fare baldoria”
“Fa parte del nostro lavoro redigere i rapporti!”
“Lo so, ma è noioso e poi, detesto scrivere” insistette il commissario più giovane.
Jan scosse la testa, mentre lo spingeva verso l’entrata.
Ore dopo sedevano ad un tavolo in un pub della periferia, Jan sorseggiava la sua birra,nonostante il pericolo incombente di ingrassare mentre Vince si ingozzava di patatine fritte sotto lo sguardo scandalizzato del collega: “Non ti faranno male tutte queste porcherie?”
Ogni giorno che passava quel ragazzo gli ricordava di più Miguel, anche nel modo di mangiare. Nel ripensare al compagno scomparso si rattristò.
Vince rendendosi conto del suo stato d’animo, gli appoggiò una mano sul braccio. “Ti va di parlarne?”
“Parlare di cosa?”
“Del perché ogni tanto sembra che ti sia passato un autotreno sulla testa, Jan” Vince lo fissò con dolcezza.
Jan tacque, non gli andava di confidarsi, erano cose intime, private che non aveva mai detto a nessuno.
“C’è qualcosa che non va con Leni?” alzò la mano per ordinare altre due birre.
“Tutto”
“Mi spiace, il capo lo sa?”
“No, ma il fatto è che…” s’interruppe: “ha accettato un lavoro a Londra. Immagino presto dovrà dirglielo”
“E tu che farai?” la stretta sul suo braccio aumentò.
“Non ne ho idea, Vince, mi sento impotente. Leni ha fatto la sua scelta e io… “ si bloccò: “non so se valga la pena di lottare per questa storia”
“Dipende, tu la ami?”
Jan lo guardò, poi scosse la testa: “Credo che il mio amore si sia esaurito con il tempo o forse… non l’ho mai amata come ho amato…”
“Tua moglie?” tirò ad indovinare, in realtà, non sapeva quasi nulla della vita del suo collega.
“No, non Anja” abbassò lo sguardo giocherellando col tovagliolo di carta.
Vince cominciò a realizzare il perché delle lacrime che gli aveva visto versare solo poche ore prima “Si trattava di Miguel Alvarez, vero?”
Jan si voltò a fissarlo, poi annuì, che senso aveva continuare a celare ciò che era stato? Tra l’altro non era nemmeno un segreto, anche Ina lo sapeva e forse anche Leni lo aveva sospettato.
Cominciò a raccontare: “Io e Miguel eravamo una cosa sola. Dapprima colleghi, poi amici e infine… innamorati” sospirò tristemente per poi terminare la seconda birra.
“Mi dispiace, so che è accaduto in servizio, ma…” non sapeva cosa chiedere di preciso.
Jan agguantò una patatina portandosela alle labbra: “Un ragazzino che lui credeva di poter salvare ha sparato colpendo per sbaglio Miguel alla schiena”
“Tu eri presente?”
“Mi è spirato tra le braccia” le lacrime cominciarono a scorrere dalle guance: “sono caduto in uno stato depressivo serio, stavo per lasciare la polizia, mollare tutto”
Vince ascoltò il suo sfogo senza intervenire, mentre qualcosa nell’animo si agitava. Aveva sempre trovato Jan attraente, ma il vederlo così umano e fragile, lo rendeva ancora più affascinante ai suoi occhi. Non se lo aspettava da un uomo apparentemente tutto d’un pezzo come il commissario Maybach.
“Con l’aiuto di Leni sono riuscito a venire fuori dal buco nero nel quale ero sprofondato”
“Mi dispiace, Jan” appoggiò la mano sulla sua: “non posso neanche immaginare quello che avrai passato, ma se ti può essere di conforto, ti sono vicino” sfiorò le dita pentendosene immediatamente. Ritrasse la mano aggiustandosi poi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Jan lo guardò intensamente, soffermandosi su ogni particolare del suo viso. Era molto bello, con gli occhi verdi dai riflessi dorati e uno dei sorrisi più dolci che avesse mai visto. Per la prima volta dopo Miguel, si sentiva attratto da un altro uomo, ma si disse che doveva essere colpa della birra.
Vince, sentendosi osservato, gli sorrise: “Ti va di camminare? Credo di aver esagerato”
“Sei tutto rosso, forse un po’ d’aria ti farà bene, Vince” scese dallo sgabello e si avvicinò. “Vuoi una mano?”
“Ce la faccio” fece per mettersi in piedi, ma una gamba cedette e se non fosse stato per la prontezza di riflessi di Jan, sarebbe finito sul pavimento.
Gli circondò la vita con un braccio, i loro visi potevano quasi sfiorarsi. Vince avvertì il respiro caldo sulla pelle, lo fissò socchiudendo le labbra mentre il cuore martellava con violenza.
“Usciamo” la voce profonda del collega lo costrinse a trasalire.
Vince si districò dalla sua stretta, anche solo la vicinanza lo turbava, come avrebbe continuato a lavorargli accanto senza tradirsi? Erano questi i suoi pensieri quando l’aria fresca lo investì. Chiuse gli occhi e respirò a pieni polmoni, doveva calmare i bollenti spiriti.
“Non stai bene, Vince?” gli fu nuovamente accanto.
Il commissario più giovane si voltò verso di lui, lesse apprensione nello sguardo: “Sei preoccupato per me, capo?” sogghignò malizioso.
“Non vorrei doverti sorreggere fino a casa” ribatté imbarazzato.
“Non abito lontano”
“Ah, non lo sapevo” ammise.
“Immagino ci siano molte cose che non sai del sottoscritto”
Jan non replicò, aveva ragione, non gli era mai interessato conoscere bene il collega e solo ora si rendeva conto che forse Vince pensava che fosse in collera con lui.
“Devo essere stato un vero stronzo con te, vero?” calciò un sassolino
“All’inizio pensavo mi odiassi, ma poi ho capito che era un modo per proteggerti, non volevi affezionarti”
Jan lo fissò incredulo, Vince era riuscito ad andare a fondo, a comprendere il perché del suo atteggiamento distaccato.
“Non te le faccio una colpa, Jan. Hai sofferto e per far sì che questo non accadesse di nuovo, hai deciso di tenere a distanza le persone”
“Sei molto perspicace” Jan gli rivolse un sorriso così dolce che Vince si sentì rimescolare dentro: “anche io ci ho messo molto a capirlo, non volevo ammetterlo neanche con me stesso. Il fatto è che Miguel mi manca”
“Lo so, Jan” Vince si fermò di colpo voltandosi a guardarlo: “ma spero diventeremo amici, non voglio che tu mi veda come un usurpatore”
“Non lo sei, Vince. Mi trovo molto bene in tua compagnia”
“Sono contento” Vince accorciò le distanze e, vedendo che Jan non accennava ad allontanarsi, posò le labbra sulle sue. Le baciò dolcemente.
Il compagno s’irrigidì staccandolo da sé: “Ma cosa…? Vince sei forse impazzito?” lo fissò stupito da quel gesto.
“Cazzo, che idiota che sono” infilò una mano nei capelli. Aveva combinato un bel pasticcio: “scusami, Jan, non so cosa mi è preso”
In quell’istante si rese conto di essere sotto il suo portone. In preda al panico si mosse per entrare nel palazzo.
“Notte, amico. Dimentica tutto” evitò il suo sguardo.
Un attimo dopo il corpo massiccio di Jan lo schiacciò contro il muro e la bocca fu sulla sua. Lo baciò con foga. Un assetato nel deserto. Vince era la sua oasi.
Il commissario più giovane rispose con bramosia insinuando le mani sotto la maglia. Sfiorò gli addominali marmorei, ansimò immaginando la sua bocca su quel corpo.
Si staccò per respirare, gli occhi di Jan brillavano di passione. Con la punta della lingua gli accarezzò le labbra tumide prima di ritornare a possederle, sembrava insaziabile.
Vince approfondì il bacio incontrando la sua lingua, le dita artigliarono una ciocca di capelli tirandola con forza “Jan”
“Vince” si spostò sul mento, poi giù fino al collo.
Vince si aggrappò a lui quasi come se temesse di cadere, le gambe come gelatina. Tutto solo per un bacio. Si chiese cosa avrebbe provato a fare l’amore con lui!
“Temevo non volessi” sussurrò poi.
“Non sapevo di volerlo” il respiro di Jan era affannoso.
“Meglio tardi che mai” ridacchiò Vince.
“Già, meglio tardi che mai” ripeté Jan staccandosi “Ora vado, Vince” sapeva che se fosse rimasto avrebbe compiuto qualcosa di avventato.
“A domani, capo” sogghignò leccandosi le labbra come per assaporare ancora il gusto dei suoi baci.
Jan fece per attraversare la strada quando Vince lo trattenne per un braccio “Aspetta”
Lo attirò a sé tornando a reclamare la sua bocca, ora che ne aveva avuto un assaggio, non poteva più farne a meno. Jan si lasciò andare dimenticando il motivo per cui aveva deciso di non restare.


Jan appoggiò una mano sulla spalla di Vince facendolo trasalire.
“Sei pronto?”
“Sì” rispose risoluto.
“Entriamo, allora” lo condusse dentro il locale.
L’aria era satura di fumo, le luci psichedeliche e la musica assordante li investirono costringendoli a fermarsi per abituare gli occhi e le orecchie. Intorno a loro decine di persone ballavano al ritmo di Sean Paul. Erano per lo più di origine ispanica, ma si intravedevano anche ragazzi dalla pelle bianca. Jan fece cenno a Vince di separarsi, poi si diresse verso il bar, non c’era verso che si spacciasse al centro della pista. Era più probabile che lo smercio avvenisse nei bagni o nella zona privé. Sedette al bancone, guardandosi intorno circospetto, si sentiva proprio come un pesce fuor d’acqua. Non c’erano molti della sua età. Ai loro occhi doveva apparire vecchio e la cosa non gli piacque affatto. Una ragazzetta dai lunghi capelli neri e il piercing al naso, fasciata in un mini abitino che non lasciava molto spazio all’immaginazione, gli si avvicinò sinuosa “Ciao, bello” urlò per sovrastare la musica “mi offri bere?”
Jan la osservò, non doveva avere più di diciotto anni.
“Cosa prendi?” domandò in inglese
“Tequila, biondino. Non sei di queste parti, vero?” doveva essere portoricana a giudicare dalla carnagione.
“No, sono tedesco”
“Mi piacciono i tedeschi, anche se si dice siano un po’ freddi” bevve tutto d’un sorso la tequila che il barista le appoggiò davanti.
“Non sei troppo giovane?”
Lei lo fissò facendo una smorfia “Che sei uno sbirro? Vuoi arrestarmi?”
“Secondo te ho la faccia da sbirro?” ridacchiò nervosamente.
“In realtà, sì. Un piedipiatti molto affascinante” avvicinò maggiormente il viso al suo: “lo sei?”
“Stai scherzando vero? Figurati. Comunque, io sono Jan e tu come ti chiami?”
“Maria” gli si strusciò contro “mi piacciono quelli della tua età, così esperti e pronti a tutto”
Non abituato a tanta intraprendenza, Jan arrossì. Si guardò intorno in cerca di Vince, ma del compagno non c’era neanche l’ombra. Ne approfittò per spizzare anche la sala. Lei gli appoggiò una mano sulla coscia, ma Jan la scansò prontamente “Non sono interessato”
“Sei frocio per caso?” sbottò stizzita. Pur non parlando l’inglese perfettamente, il termine queer lo comprese benissimo.
Fece per risponderle quando un assembramento alla sua destra ne attirò l’attenzione. La ragazza gli inveì contro per qualche istante, prima di andarsene offesa, ma Jan era troppo preso da quel gruppetto di giovani appoggiati alla parete per darle retta. Un attimo dopo si aggregò un altro tizio, massiccio, con i capelli rasati, la canottiera bianca e un paio di jeans. Dopo i saluti di rito, cacciò qualcosa dalla tasca posteriore e la porse ad uno dei ragazzi che in cambio gli elargì un fascio di dollari. Jan s’irrigidì, probabilmente si trattava di uno degli spacciatori che stavano cercando. Li osservò con attenzione, in particolare, l’ultimo venuto cercando di memorizzare i suoi lineamenti. Un attimo dopo questi si allontanò e si diresse verso la zona privè dalla quale uscirono tre uomini. Due erano talmente grossi che non potevano che essere delle guardie del corpo, mentre l’altro, più magrolino, folti ricci neri e un pizzetto, celava il volto sotto la visiera di un berretto da baseball. Portava una maglietta nera aderente e jeans di varie taglie più grandi, dai quali s’intravedeva il bordino nero degli slip firmati Armani.
Il trio si bloccò e l’uomo con il berretto si avvicinò al pusher per sussurrargli qualcosa all’orecchio.
Lo spacciatore lasciò scivolare la mazzetta di dollari nelle sue mani e il commissario esultò, aveva fatto centro: era lui il capo.
Sceso dallo sgabello si mosse per raggiungere il gruppetto e proprio in quel momento quello con il berretto alzò per un attimo la visiera dandogli così la possibilità di osservarlo senza essere notato.
Ciò che vide lo sconvolse: “Non è possibile” mormorò fissando inebetito quei lineamenti così familiari, gli occhi scuri. Il cuore accelerò i battiti, le gambe divennero pesanti.
Abbassò il capo per qualche istante, ma quando ritornò a guardare era sparito e così gli altri tre: si erano dileguati nella folla. Li cercò disperatamente, odiandosi per esserseli lasciati sfuggire.
“Dannazione” infilò le dita nella chioma cercando di riprendersi dallo shock. Provò a mettere da parte quel pensiero, ma la somiglianza era troppa.
Si voltò di scatto ritrovandosi davanti Vince che lo fissava apprensivo: “Che c’è? Hai una faccia!”
“Dov’eri? C’è stato uno scambio di roba” Jan ritornò il poliziotto professionale di sempre.
“Dove?” si guardò intorno.
“Come dove. Qui, Vince. Dannazione, mi sono sfuggiti!”
“Cazzo” imprecò il più giovane guardandosi intorno.
“Mi sono distratto e si sono dileguati”
“E se facessi da esca?” propose Vince: “Potrei fingermi interessato alla roba, vedrai che ci cascheranno”
“Non esiste, Vince”
“Ma…” non capiva il suo atteggiamento: “Non ti fidi di me? Pensi possa mandare all’aria l’operazione?”
“Non è questo”
“È così! Credi che non sia all’altezza della missione?”
“Sei un ottimo poliziotto, Vince” gli appoggiò una mano sulla spalla massaggiandola: “è solo che…”
“Cosa, Jan! È solo cosa?” alzò la voce, la musica impediva ad altri di captare i loro discorsi.
“Non voglio che ti accada qualcosa” ecco, finalmente lo aveva detto.
Gli occhi del giovane s’illuminarono: “Jan, non mi succederà nulla” accorciò le distanze “so quello che faccio e poi, non sono ancora pronto a lasciarti”
Jan impallidì: “Non dirlo neanche per scherzo. Ho già perso Miguel, non perderò anche te”
Vince lo attirò a sé e, incurante della folla che li circondava, lo baciò. Fu dolce, ma allo stesso tempo colmo di passione. Un bacio che sconvolse entrambi. Quando finalmente si staccarono Vince gli prese la mano accarezzando le dita con le proprie, poi se le portò alle labbra “Facciamo rapporto e torniamo in albergo”
“Non aspetto altro, Vince”
“Bene” senza attendere oltre, lo condusse all’esterno attraverso l’uscita secondaria.
Una leggera brezza li investì scompigliando i capelli di Vince. Il vicolo era deserto, Jan aguzzò la vista alla ricerca degli uomini della Narcotici appostati nella zona.
Il tenente Sanchez uscì dal vicolo seguita da uno dei suoi uomini. Li fissò in attesa: “Avete avuto qualche riscontro? La prossima volta useremo delle cimici così avremo la possibilità di ascoltare”
Jan si fece avanti: “Abbiamo fatto centro. Non solo questo è il loro territorio d’azione, ma ci opera pure qualcuno che si muove come uno che conta”
“Come fa ad essere certo che sai tratti di un capo clan?”
“Uno degli spacciatori gli ha passato un rotolo di banconote e poi si vedeva che era temuto”
“Dunque ha assistito ad uno scambio” il tenente era estremamente interessata.
“Sì, tra un gruppo di ragazzi sui diciotto anni e un tipo massiccio con la testa rasata”
“Mentre il tizio che lei deduce fosse il capo come era fatto?”
Il commissario tedesco abbassò lo sguardo: “Capelli scuri, occhi neri e fisico snello, con pizzetto e baffetti. Alto quanto me, portava in testa un berretto da baseball” imbarazzato, infilò le mani in tasca.
“Estefan Santiago” mormorò tra i denti.
“Merda!” imprecò l’altro poliziotto, un bel giovane dai capelli biondi e il viso abbronzato. “Quel bastardo ha le mani in pasta in tutto. È il re della zona”
“Dovevamo capirlo che c’era lui dietro questo traffico”
“Sembrava molto sicuro di sé e si muoveva tra la folla come se fosse il padrone” aggiunse Jan
“Ottimo lavoro, commissario Maybach” si congratulò il tenente divorandolo con gli occhi.
Jan le sorrise e Vince sbuffò seccato “Io avrei un’idea per avvicinarlo! Ne parlavo con Jan… il commissario Maybach proprio pochi minuti fa”
“Di che idea si tratta, vice commissario Becker?”
Tre paia di occhi si posarono su di lui: “L’unico modo per stabilire un contatto sarebbe fingersi interessati alla loro merce”
“In questo modo non arriveremo a niente, solo ai pusher” obiettò il tenente.
“No se il quantitativo di roba è rilevante”
“Commissario, sia serio, perché mai un singolo cliente dovrebbe aver bisogno di grandi quantitativi? Potrebbero pensare che stia cercando di fregarli rivendendo la roba”
“La roba sarà per un pezzo grosso” spiegò il giovane per nulla intimorito dalle loro obiezioni “se gli faremo credere di lavorare per qualche grosso trafficante…”
“È una follia” lo interruppe Jan: “non ci cascheranno mai e il fallimento è dietro l’angolo”
“Hai un’altra idea, capo?” Vince si voltò verso di lui fulminandolo.
Il tenente Sanchez dopo un’attenta riflessione disse: “A me sembra un piano attuabile. Bisognerà studiarlo nei minimi particolari, ma potrebbe funzionare. Complimenti, vice commissario Becker”
“La ringrazio”
“Dobbiamo solo decidere chi farà da esca”
“Io” si propose Vince: “mi sembra logico che sia io a stabilire il contatto”
“Ne abbiamo già discusso” intervenne Jan: “ho maggiore esperienza di te”
“Jan, non saresti credibile! Devo farlo io!” insistette.
“Ne parlerò anche con i miei superiori e poi vi farò avere notizie. Fino ad allora, vi chiedo di restare a disposizione”
I due poliziotti tedeschi annuirono e la osservarono allontanarsi seguita dal suo sottoposto.
Una volta soli Jan si avviò verso l’auto, ma Vince lo fermò: “Credevo avessi capito quanto ci tenessi a dimostrare che non sono un pivello”
“Dannazione, Vince, sono un tuo superiore e obbedirai ai miei ordini!”
“Cosa succede, Jan? Perché devi essere così stronzo?” c’era rabbia nella voce.
“Non voglio che ti accada nulla, se questo è essere stronzi, allora, sì lo sono” era alterato, le gote arrossate e gli occhi fuori dalle orbite.
“Siamo poliziotti. Il nostro lavoro ci impone di rischiare, non lo facciamo sempre?” gli fu accanto.
Jan gli voltò le spalle, e di rimando Vince si pressò contro la sua schiena: “Scusami per averti dato dello stronzo. Non lo pensavo davvero. Tu sei la cosa più bella che mi sia capitata e non voglio litigare con te”
“No, hai ragione. Lascio che i sentimenti interferiscano con le mie decisioni” Jan sospirò avvertendo il suo alito caldo sul collo.
“Se deciderai di non lasciarmi provare lo capirò” Vince posò una serie di piccoli baci sul collo.
“Vince” ansimò: “non ce la fai proprio ad aspettare di essere in camera? Potrebbero vederci!”
“Siamo soli, non vedo nessuno qui intorno e poi, sei così desiderabile, capo. Che ne diresti se ti sbattessi contro quel muro e ti facessi una bella perquisizione?” gli sferrò una pacca sul sedere.
“Mi vuoi perquisire? Non sono un delinquente” sogghignò Jan.
“Voglio vedere cosa nascondi qui” la mano si posò tra le gambe.
“Vince, questa incursione nella malavita ti ha reso audace” s’interruppe: “e sai che ti dico? Potrebbe anche piacermi”
“E non hai ancora visto nulla” insinuò le dita nei pantaloni fin troppo larghi.
“Cosa penserebbero se ci sorprendessero a fare sesso in un vicolo?”
“Dolcezza, siamo a Miami, non a Lipsia. Chi vuoi che ci badi” lo spinse contro il muro.
Jan si guardò intorno circospetto “Vince, andiamo in albergo, non mi sento a mio agio”.
“E va bene!” sospirò rassegnato. “Il tuo comportamento così ligio mi fa passare ogni fantasia di trasgressione”
Jan lo attirò a sé baciandolo, forse per quella volta avrebbe potuto anche lasciarsi andare.
Vince rispose con altrettanto trasporto, ma un attimo dopo un rumore li fece scattare allarmati.
Un gatto saltò sul cassonetto accanto a loro, Vince scoppiò a ridere: “Abbiamo i nervi a fior di pelle, eh?”
“Sarà questo caso e poi… ” si morse la lingua, stava per rivelargli ciò che gli era accaduto all’interno del locale, ma poi si bloccò. Non aveva senso informarlo, in quanto aveva deciso che era stato solo un abbaglio.
“Cosa?”
“Niente” scosse il capo.
”Lo sai che ti amo, Jan, vero?”
“Era un po’ che non me lo dicevi” tracciò la curva del viso con un dito.
“Scusa”
“Non scusarti, io lo so che mi ami. Ora, allontaniamoci da questo posto, puzza di qualcosa di indefinito” Jan arricciò il naso disgustato.
“Come siamo schifiltosi” lo prese in giro “dovrei chiamarti mio piccolo Lord”
“Spiritoso” lo spinse verso l’auto.

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