martedì 21 settembre 2010

Binvenido a Miami capitolo 1 (NC17)



Bienvenido a Miami

Soko Leipzig
Personaggi: Vince Becker, Jan Maybach
NC-17
I personaggi non mi appartengono.
Un grazie speciale alla mia socia e nonché editor Giusi senza la quale questa fic forse non avrebbe neanche visto la luce.


1

L’aereo atterrò in perfetto orario all’aeroporto di Miami. I commissari Jan Maybach e Vincent Becker si diressero verso l’uscita portandosi dietro due piccoli borsoni che contenevano i pochi effetti personali. Si trovavano in Florida al fine di rintracciare il capo di una banda di narcotrafficanti che tramite i suoi corrieri esportava la roba anche a Lipsia. In quei mesi la squadra si era trovata davanti a numerose morti causate da una nuova droga sintetica denominata Diamond.
Il capo della polizia criminale di Lipsia, il commissario Trautzschke aveva inviato i suoi due uomini a Miami per collaborare con la squadra narcotici.
Jan si guardò intorno, sapeva che dei colleghi dell’antidroga li avrebbero attesi all’aeroporto.
Scovò uno dei due. Si trattava di un uomo basso e grassoccio con pochi capelli e un sigaro in bocca. Lo vide avvicinarsi seguito da una donna molto attraente, dai lunghi capelli neri e la pelle olivastra.
Vince si bloccò accanto al compagno in attesa.
“Commissario Maybach, presumo” disse la donna. Mostrò il distintivo “Sono il tenente Sanchez e lui è l’agente Morris”
Jan strinse loro la mano e cercò di esprimersi in inglese “Piacere, Jan Maybach e lui è il commissario Becker”
“Piacere mio, ma chiamatemi Vince, vi prego” sorrise mostrando la dentatura perfetta.
Jan alzò gli occhi al cielo, il solito sbruffone “Piuttosto, come avete fatto a riconoscerci? Abbiamo scritto in fronte che siamo sbirri tedeschi, per caso?”
“No, commissario” lei sorrise puntando su di lui gli occhi scuri “Non solo i teutonici sono efficienti. Abbiamo ricevuto le vostre schede e c’erano anche delle immagini, anche se devo ammettere che quella foto tessera non le rende di certo giustizia, commissario Maybach” lasciò vagare lo sguardo sul torace muscoloso stretto in una maglietta aderente.
Jan arrossì leggermente, mentre Vincent accanto a lui borbottava qualcosa in tedesco stretto così da risultare incomprensibile ai poliziotti americani.
“Dove possiamo andare per parlare dell’indagine, tenente?” domandò Jan tornando serio e professionale.
“Che bisogno c’era di far venire questi due, eravamo in grado di cavarcela più che bene” l’agente Morris mormorò contrariato.
Il suo superiore lo sentì e si voltò indispettita “Li abbiamo chiamati perché avevamo bisogno d’aiuto e ora, resta nei ranghi, agente!” alzò la voce indispettita “Scusate per l’insubordinazione, ma questo traffico per l’Europa è uno dei più spinosi che ci sia capitato da anni a questa parte e… “
“Da noi è anche peggio. Non possiamo permettere che la situazione ci sfugga di mano. Siamo qui per aiutarvi non certo per ostacolarvi”
La donna sorrise annuendo “Credo che sarà una collaborazione vantaggiosa per entrambi i paesi. Ora, se volete seguirci vi porteremo in hotel. Immagino, sarete stanchi”
“Grazie, il viaggio è stato molto lungo”
S’incamminarono verso l’uscita e varcate le porte, furono investiti da una folata d’aria calda che per un attimo impedì loro di respirare. I due poliziotti tedeschi non erano di certo avvezzi a un clima del genere, gli ci sarebbe voluto del tempo per abituarsi.
Vincent si lasciò sfuggire un’imprecazione in tedesco che nessuno capì tranne Jan il quale gli lanciò un’occhiataccia ammonitrice.
Durante il tragitto dall’aeroporto all’albergo il tenente Sanchez ragguagliò i due commissari teutonici sui progressi effettuati in quei mesi e fissò un appuntamento per quella sera a cena.
L’auto nera di servizio si fermò davanti all’edificio. Dopo aver preso i loro borsoni dal portabagagli Jan e Vince scesero. Si accomiatarono dai colleghi americani infilandosi nelle porte scorrevoli. La hall era affollata e rumorosa, si avvicinarono alla reception per registrarsi.
Scoprirono che le camere erano situate al decimo piano. Mentre l’ascensore di vetro saliva lento, Vince canticchiò una canzoncina a bassa voce. Guardò all’esterno e nel vedere la piscina gli scappò un’esclamazione di gioia.
Jan lo fissò stranito “Sei di buon umore”
“Perché non dovrei? Guarda Jan, non è stupenda?” gli occhi gli brillarono al pensiero di poter prendere il sole in quell’oasi di divertimento e sorseggiare uno di quel cocktail con l’ombrellino che in Germania poteva solo sognare.
“Vince, devo forse ricordarti che non siamo qui in vacanza?”
“Questa è Miami, il nostro albergo è provvisto anche di una piscina da panico e immagino ci sarà anche una sauna. È il paradiso” non trattenne l’espressione rapita.
“Vince, Miami è una missione” lo rimproverò l’altro cercando di farlo ritornare con i piedi per terra.
“Ma questo non ci impedisce di rilassarci un po’, no? Dai, Jan, non essere così serioso” gli rivolse un sorriso disarmante.
Jan ricambiò il sorriso “E va bene, sei davvero un bambino” improvvisamente s’incupì. Vince non era il primo cui lo diceva. Scosse la testa cercando di ricacciare i pensieri tristi che cominciavano a riaffiorare.
Vince ridacchiò soddisfatto di averla avuta vinta.
L’ascensore si fermò al loro piano e i due attraversarono il corridoio fino alle porte delle stanze. Erano una accanto all’altra.
“Sarà meglio riposare” consigliò Jan.
“Non sono tanto stanco” replicò Vince non accennando a spostarsi verso la sua camera.
Jan inserì la tessera nella fenditura facendola scattare. Aprì la porta e con la testa gli fece cenno di entrare.
Un sorriso apparve sulle labbra del più giovane che lo seguì all’interno. Jan lasciò cadere il borsone sul letto.
La camera era piccola, ma accogliente. Una porta conduceva nel bagno, un divanetto con un tavolino e ad una parete vi era addossato un letto matrimoniale con due comodini. Un armadio completava l’arredamento.
“Non mi sembra vero di essere arrivati, che volo infernale” si voltò.
Vince si posizionò dietro di lui appoggiandogli le mani sulle spalle “Jan, mi sembri teso, sai?” lo massaggiò.
Jan sospirò chiudendo gli occhi “Grazie, mi ci voleva proprio”
“Lo so” aumentò la pressione “Cinque minuti del mio trattamento e sarai un altro”
Avvicinò il viso al suo collo posandovi dei baci leggeri, poi si spostò sulla nuca umida, senza smettere di massaggiare.
“Vince” ansimò.
“Sei teso come una corda di violino, capo”
“Non chiamarmi così” sbottò.
“Perché? Sei un mio superiore” le mani di Vince si spostarono lungo la schiena sfiorandola attraverso la maglietta sudata.
“Non quando siamo soli” si voltò guardandolo con tale intensità da fargli tremare le gambe.
“E cosa siamo?”
Jan per tutta risposta posò le labbra sulle sue baciandolo con dolcezza, Vince ricambiò focoso, spingendolo verso il letto. Desiderava farlo fin da quando avevano salutato Haio all’aeroporto, finalmente erano soli e poteva lasciarsi andare.
Sfiorò le labbra carnose del compagno, le mordicchiò fino ad esserne sazio, mentre le mani si insinuavano sotto la maglietta ad accarezzare il ventre umido. Jan si spinse contro di lui per averne di più, voleva sentire il suo tocco, il suo sapore.
La temperatura all’interno della stanza era incandescente quasi quanto quella fuori dalla finestra. Vince gli sfilò la maglia e fece lo stesso con la sua lanciandole entrambe sul pavimento “Non sai da quante ore attendo questo momento” sussurrò cercando nuovamente la sua bocca.
“Hai sempre la stessa cosa in testa?” Jan si staccò per respirare.
“Forse perché siamo costretti a trattenerci per non farci scoprire da Haio. Sono certo che ci sbatterebbe fuori.”
“Credo che ci farebbe una lavata di testa e poi forse… ci ucciderebbe” scoppiò a ridere.
“Si s’incazzerebbe sul serio” Vince rabbrividì immaginando la faccia del loro capo “mi piacerebbe che questi giorni fossero solo per noi”
“Vince, dobbiamo trovare il capo di questa banda di trafficanti. Haio conta su di noi, faccio le sue veci e non intendo deluderlo” Jan era tornato serio e professionale.
“Mi piaci così” Vince lasciò vagare la lingua sul suo torace scolpito “responsabile e scrupoloso”
Jan chiuse gli occhi inebriato “Non ti fermare!” lo supplicò.
L’altro continuò il suo cammino fino ai jeans. L’erezione premeva contro la stoffa dell’indumento.
Stava slacciando la cinta quando nella stanza si diffuse la suoneria familiare del cellulare di Jan.
“Cavolo, proprio ora” sbuffò Vince scostandosi per permettergli di alzarsi.
“Deve essere Haio” lo cacciò dai jeans e rispose “Pronto?”
“Siete arrivati?” la voce preoccupata del loro capo risuonò dall’apparecchio.
“Sì, siamo in albergo”
“Potevate anche farvi sentire”
“Hai ragione, ma volevamo prima disfare i bagagli” s’impappino imbarazzato come se l’ex suocero potesse vederlo in quel momento.
“Avete avuto contatti con la Narcotici?”
“Due colleghi ci attendevano all’aeroporto. Questa sera abbiamo un incontro con il tenente a capo dell’operazione” spiegò Jan nervoso.
“Cercate di non essere d’intralcio. Tieni d’occhio Vince, è giovane e avventato”
“Non lo perderò di vista un attimo” le labbra si aprirono in un sorriso.
“Puoi scommetterci!” intervenne il collega steso sul letto, con la guancia appoggiata sul palmo della mano.
“È la voce di Vince?”
“Te lo passo?” domandò Jan vedendo che il più giovane gli stava facendo degli strani segni. Era più evidente che non volesse intrattenersi con il superiore.
Vince fece una smorfia, ma suo malgrado afferrò il cellulare. Appoggiò una mano sull’altoparlante “Bastardo, me la pagherai”
Jan rise, cominciando poi a disfare il borsone. Lo osservò discutere animatamente per qualche minuto poi la mente vagò a sei mesi prima.


Jan varcò la soglia dell’ufficio, testa bassa e capelli scompigliati. La notte non aveva dormito dopo l’ennesimo litigio con Leni.
Sconsolato, sedette alla scrivania, una pila di scartoffie aspettava di essere consultata, ma la mente del giovane commissario era altrove. Dopo la perdita del bambino qualcosa tra lui e la sua ragazza si era rotto. A nulla erano valsi gli sforzi di entrambi di ricucire il rapporto. Ci avevano riprovato, ma in poco tempo si erano allontanati diventando quasi due estranei. A Leni era stato offerto un lavoro a Londra e con grande sorpresa di Jan lei aveva accettato. Appoggiò la schiena alla spalliera, si sentiva come se la sua intera esistenza stesse cadendo a pezzi. Accese il pc, doveva ancora scrivere il rapporto sul caso risolto due giorni prima. In un attimo lo schermo s’illuminò. Aprì i documenti, ma una cartella attirò la sua attenzione. Cliccò con il mouse e una foto di lui e Miguel abbracciati apparve sullo schermo.
Erano così spensierati. Era stata scattata la sera del party per la gravidanza di Ina. Avevano bevuto troppo e si erano lasciati andare. Quella foto ne era la prova. Miguel gli cingeva la vita con un braccio, le dita sotto la maglia.
Ricordava ancora il calore del suo tocco sulla pelle e soprattutto quello che era accaduto in seguito. Una lacrima gli bagnò una guancia, erano trascorsi quasi quattro anni e non c’era giorno in cui non sentiva la sua mancanza. Era sovrappensiero al punto che non avvertì i passi alle spalle.
“Che fai?” la voce del collega Vince Becker lo colse di sorpresa.
Scattò sulla sedia asciugandosi una guancia “Niente”
“Cosa stai guardando?” si sporse oltre il collega sbirciando l’immagine sullo schermo.
“Non sono affari tuoi, Vince!” sbottò chiudendo foto e cartella.
Vince restò di stucco per la sua reazione, ma non ebbe l’occasione di replicare perché Haio fece il suo ingresso seguito da Ina.
“Vince, Jan, per il caso Holtz bisogna interrogare il socio. Ve ne occupate voi?” porse un foglio a Jan “O preferisci andare con Ina a sentire la figlia?” si accorse della strana tensione tra i suoi sottoposti.
“Andiamo io e Vince” acconsentì rendendosi conto di avere esagerato. Lanciò un’occhiata al collega e lo vide accanto alla porta con la testa bassa. Afferrò il documento e dopo aver indossato la giacca si avviò verso la porta.
Si avvicinò a Vince appoggiandogli una mano sulla spalla “Scusa, ero nervoso non avrei dovuto prendermela con te”
“Avrai avuto i tuoi motivi per reagire in quel modo” replicò con dolcezza.
“Non ho scuse, mi spiace, ma sai…” non riuscì a continuare.
“Non preoccuparti” sorrise “ora, andiamo o il capo ci bacchetta”


Jan ritornò al presente e alzò lo sguardo verso il compagno, aveva chiuso la telefonata con il loro capo e lo fissava con una strana luce negli occhi. Comprese immediatamente cosa avesse in mente. Lo raggiunse sul letto stendendosi su di lui “Che ti ha detto Haio?”
“Di non fare colpi di testa, di seguire i tuoi…ordini e di non contraddirti” terminò di spogliarlo.
Jan ridacchiò “Concordo su tutto” lo baciò dolcemente per poi soffermarsi a leccare gli angoli delle labbra “soprattutto sull’eseguire i miei ordini” scese lungo il mento, poi giù fino al collo.
“Sai che non sono molto disciplinato” Vince ansimò godendo del suo tocco.
Jan continuò la corsa. Vince gemette “Hai intenzione di farmi impazzire, vero?”
“Era questa l’idea” ridacchiò lasciando una scia umida sulla pelle.
“Non abbiamo molto tempo, capo. C’è la cena con la bomba ispanica della Narcotici” nella voce di Vince un briciolo di gelosia.
“È molto bella” confermò.
Vince lo fissò stranito “Ti mangiava con gli occhi "la foto non le dava giustizia commissario" ma fammi il piacere” fece il verso alla donna.
Jan scoppiò a ridere “Sei geloso”
“Niente affatto”
“Sì, lo sei” lo pungolò.
“E va bene, lo sono. Lei è uno schianto e fa la smorfiosa” mise il broncio.
“Dai, non pensare al tenente… neanche ricordo come si chiamava, ma a noi” ritornò a reclamare la sua bocca calda e desiderabile.
Vince ribaltò le posizioni insinuandosi tra le sue gambe e attirandolo a sé “Ecco, ora va meglio” ridacchiò.
Jan circondò l’erezione del compagno guidandola dentro di sé. Quando fu completamente in lui ansimò estasiato: il poco tempo a disposizione andava sfruttato al meglio.

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