martedì 12 luglio 2011

Pesi, sudore e pensieri peccaminosi



Squadra speciale Lipsia
Spoiler: Nessuno
Pairing: Jan-Miguel
I personaggi non mi appartengono

La serata è terribilmente calda, quasi afosa per essere ancora in giugno. Molti abitanti inseguono il refrigerio bagnandosi nelle fontane o cercando riparo dal sole nelle zone alberate. Jan e Miguel invece trascorrono le ore libere dopo il lavoro ad allenarsi in palestra. In realtà è Jan a fare esercizio giacché Miguel si limita a osservare il collega. Data l’ora tarda, la sala è pressoché deserta e quando anche l’ultimo atleta esce, si ritrovano soli. Jan siede su una panca, tra le mani stringe due pesi da venti chili. La canotta bianca impregnata di sudore e i capelli umidi attaccati sul collo e sulla fronte.
Miguel ozia su una panca di fronte. Reprime a stento uno sbadiglio, poi si stiracchia. Quella sera è talmente stanco che avrebbe fatto volentieri a meno di quelle due ore in palestra, ma non voleva deludere Jan. Vedendolo così serio e concentrato sorride.
“Invece di restare lì a fissarmi vieni a darmi una mano!” la voce del compagno lo riporta alla disciplina.
“Sono stanco, torniamo a casa” protesta Miguel alzandosi controvoglia.
“Resisti ancora un po’” lo prega con un sorriso così dolce che non riesce a dire di no.
“E va bene, ma solo se mi offri la cena, sto morendo di fame!” lo raggiunge mettendosi alle sue spalle.
“Pensi sempre a mangiare tu?” scuote la testa divertito, poi a tradimento gli afferra quel rotolino che sporge dalla maglietta e lo strizza “E questo? Tutti gli hot dog e patatine che ti sbafi quando non ci sono!”
“Smettila Jan!” si divincola seccato “Non tutti riescono a stare tutta la giornata con insalata e pollo lesso come te”
“Alimentazione sana, amico mio. Non dimenticarlo!” lo redarguisce saccente.
“Sei noioso!” si abbassa verso di lui, i visi possono quasi sfiorarsi. “E ora, lavora altrimenti non ce ne andiamo più!”
“Aiutami, dai. Prendimi quel bilanciere” glielo indica.
Miguel obbedisce, ma quando cerca di tirarlo su, per poco, non resta piegato in due. “Cazzo” impreca.
“Troppo pesante?” sulle labbra di Jan un sorrisetto maligno.
“No, affatto!” nega. Non ammetterebbe la verità neanche sotto tortura. Stringendo i denti, trasporta quel peso fino alla panca.
Jan lo aiuta a metterlo sui ferri, poi si stende. Miguel si porta alle sue spalle e lo solleva porgendoglielo. Le mani si sfiorano e quando Jan lo guarda, avverte le farfalle nello stomaco. Vede i muscoli del collo di Jan tendersi per lo sforzo, il sudore gli imperla la fronte e il torace di alza e si abbassa velocemente. Tentando inutilmente di concentrarsi, Miguel deglutisce rumorosamente, il corpo di Jan lo attrae come una calamita. Lo sguardo si sposta dagli addominali lasciati scoperti dalla canotta alla scia di peluria che si perde nei pantaloncini. Con la gola secca scende verso il pacco e pensando al regalino che cela, si sente avvampare. Un rivolo di sudore gli scende dalla fronte. Cosa cazzo mi accade? Come se non lo avessi mai osservato allenarsi.
Quando Jan gli passa il bilanciere, Miguel torna a concentrarsi sul suo compito di personal trainer. Lo posa sul pavimento, poi prende due pesi da trenta chili. Jan esegue gli esercizi con grande serietà e Miguel lo aiuta a mantenere la posizione eretta, ma ben presto, decide che si sta sforzando troppo.
“Riposati! Ti verrà uno strappo se continui così!”
“Okay” e si muove per rimettere i pesi al loro posto. Tornato sulla panca, massaggia le braccia indolenzite.
“Povero Jan, non hai più l’età per pompare in questo modo!” gli appoggia le mani sulle spalle.
“Come osi!” protestò lanciandogli un’occhiataccia.
“Stai invecchiando!”
“Vecchio sarai tu. io sarei capace di continuare per ore!” ribadisce sfidandolo.
“Ok, ho capito” Ridacchiando Miguel stimola i muscoli contratti. Quando lo sente sospirare di piacere, aumenta la pressione “Come sei teso, Jan” si sporge verso di lui. L’alito caldo solletica la pelle dell’amico. “Ora penso io a te”
“Devo ammetterlo! Sei bravo” mormora Jan rilassandosi sotto il suo tocco “non credevo sapessi fare così bene i massaggi”
Miguel siede dietro di lui appoggiando il torace contro la sua schiena “Ci sono molte cose che non sai di me, amico mio” stimola il collo con i polpastrelli.
“Per esempio?” Jan si lascia sfuggire un mugolio dopo l’altro
“Niente da fare!” le dita si spostano sulla nuca. “Per ora dovrai accontentarti di questo, poi…chissà”
“Che sbruffone!” protesta il biondino, ma le mani fresche di Miguel sono un refrigerio per il suo corpo incandescente.
Miguel gli posa un leggero bacio sulla pelle sudata, trasferendosi sul collo. Quando Jan inclina la testa di lato invitandolo a proseguire, Miguel risale lungo la gola. “Stai meglio?” domanda lo spagnolo, lasciando scivolare le mani lungo la schiena.
“Non ancora” e le dita del compagno s’intrufolano sotto la canotta, lambendo il ventre. Percorrono gli addominali umidi risalendo lentamente verso il petto.
Sentendo Jan ansimare, Miguel geme eccitato. L’erezione gli preme contro la stoffa leggera dei pantaloncini. “E ora?” cattura il lobo tra i denti, mentre una mano raggiunge un capezzolo. Lo stuzzica.
La voce di Jan gli si strozza in gola “No”.
“Dovrò rimediare allora” sussurra Miguel mordicchiando l’orecchio.
Quando l’altra scende fino al bordo degli shorts, Jan gli blocca la mano e senza preavviso se la porta una alle labbra. Succhia le dita, uno per volta, assaporando il gusto salato della sua pelle.
Spiazzato da quel gesto, Miguel trattiene il respiro e quando avverte la carezza della lingua, il cuore aumenta i suoi battiti. Si pressa maggiormente contro di lui.
Jan si volta a guardarlo e per provocarlo gli mordicchia il polpastrello. Non contento, lascia scivolare la mano di Miguel fin dentro i pantaloncini.
“Cazzo” quando si ritrova a toccare il sesso del compagno, Miguel impreca.
Comincia a muoverla e Jan si morde il labbro inferiore: “Non ti fermare” butta la testa all’indietro.
“Jan, guardami!”
Lui obbedisce e incontra gli occhi scuri come braci. Miguel gli sfiora la bocca con un bacio, la solletica e solo quando non può resistere oltre, si spinge all’interno. Jan risponde con trasporto, allacciando la lingua alla sua. Si baciano a lungo, come se non riuscissero a restare lontani l’uno dall’altro, staccandosi solo per mancanza d’aria. Turbati dalla miriade di sensazioni che si ritrovano a provare boccheggiano.
“Ecco scoperto in cos’altro sei bravo” Jan sorride malizioso
“E non hai ancora visto tutto, amico mio” Miguel ricomincia a muovere la mano all’interno degli shorts di Jan.
“Dopo tocca a te!”
“È una minaccia?” sussurra tra un bacio e l’altro.
“No, una promessa!” negli occhi una strana luce.
Miguel ammicca, mentre si fa largo dentro di lui il sospetto che le intenzioni di Jan siano di non lasciare la sala attrezzi fino a quando non avrà mantenuto la sua promessa.

domenica 10 luglio 2011

Io non dormo in macchina





Pairing: Jan Maybach- Miguel Alvarez
Spoiler: 4 stagione La ragazza venuta dall'est.
I personaggi non mi appartengono.

Varcata la soglia della camera, Jan strabuzzò gli occhi e sulle guance apparve un leggero rossore. Quel posto era peggiore di come lo aveva immaginato. Al centro un letto matrimoniale con cuscini di pizzo, piume e lenzuola di seta rossa. Alle pareti quadri con scene di sesso e sui comodini oggetti fallici e altri accessori.
Miguel per niente a disagio, si buttò pesantemente sul letto stiracchiandosi. “Ah, com’è morbido!” lanciò poi un’occhiata all’amico, il quale restava davanti alla porta senza accennare ad entrare
“Che fai lì impalato!”
“Io qui non ci dormo!” replicò con una smorfia.
“E perché?” Miguel si mise seduto.
Jan alzò le braccia in aria “Perché? Tu mi chiedi perché? Siamo in un bordello, Miguel! E neanche voglio sapere cosa ci hanno fatto in questo letto” si chiuse la porta alle spalle e avanzò verso il compagno.
Dalla stanza accanto provenivano gemiti e incitazioni che contribuirono ad aumentare il suo imbarazzo.
Miguel ridacchiò divertito “Cavolo. Si stanno dando da fare”
Jan si lasciò sfuggire un’espressione disgustata, causando l’ilarità dell’amico: “Sei irrecuperabile. Puoi dormire in macchina se proprio ti fa schifo. Sappi solo che io lì non ci dormo e che ho intenzione di godermi questa stanza piena di confort”
Non riuscendo a trovare una scusa plausibile, Jan sbuffò: “E va bene, ma sappi che lo faccio solo perché…” sentendo degli ansiti, si bloccò.
La televisione era accesa e sullo schermo una bella bionda stava succhiando l’enorme membro dell’unico uomo presente. La mascella del commissario per poco non cadde: “sono stanco” concluse come ipnotizzato dalla scena.
“Caspita, che bomba!” commentò Miguel intrigato dalla performance “Questo posto comincia davvero a piacermi!”
“Miguel!” lo rimproverò Jan ritrovando la ragione.
L’ispanico sbuffò: “Ti vuoi rilassare? Dai” batté la mano sul copriletto.
Jan obbedì e gli sedette accanto.
Miguel gli circondò le spalle con un braccio: “Ma non capisci la fortuna che abbiamo? Siamo circondati da belle donne e se solo volessimo…” ammiccò.
Jan scattò nuovamente in piedi “Scordatelo! Io non vado con le prostitute!”
“Neanche io però…” ghignò maligno.
“Però cosa? Miguel, ma fammi il piacere” si mosse a spegnere il televisore “Non ti è bastato l’incontro ravvicinato di oggi? Se penso a quella come ti si strofinava addosso” dal tono traspariva tutta la sua gelosia.
“Era per ottenere informazioni!” anche Miguel si alzò raggiungendolo “Mi sono sacrificato per la causa!”
“Sì, certo. Sacrificato!”
“Perché te la prendi? Ho fatto il necessario per…” l’espressione sarcastica di Jan lo costrinse a tacere.
“Quella ci provava e tu ci stavi. Secondo me ti sei pure divertito!” tornò a guardarlo.
“Mi ha eccitato averla addosso, ma è stata una reazione al contatto” confessò Miguel.
“Lo sapevo!” Jan si avvicinò al letto e si spogliò nervoso.
“Che cavolo hai ora? Jan, mi vuoi dire che ti prende?” lo afferrò per un braccio costringendolo a girarsi.
“Non mi prende niente, Miguel! È solo che non mi capacito che tu possa eccitarti per una donna del genere!” gli occhi azzurri brillavano.
“Non mi ha eccitato lei” cercò di spiegargli “ma tutta la situazione”
Jan provò un dolore in pieno petto. Se solo avesse potuto, sarebbe scappato via per non affrontare il suo sguardo indagatorio. “Se non c’ero io ci avresti…?” non riusciva neanche a dirlo, gli faceva troppo male.
“Sei fuori?” reagì lasciandolo andare “Ma l’hai vista? Neanche morto. Jan!” inorridì solo all’eventualità: “io le preferisco giovani e con le curve al punto giusto” cercando di sdrammatizzare, gli strizzò l’occhio: “davvero pensi che potrei essere attratto da quella gallina?”
“Vederti con lei ha risvegliato dei sentimenti che non pensavo di avere” abbassò lo sguardo.
Miguel trattenne il respiro: “Che vuoi dire?”
Jan titubò qualche istante, poi sussurrò “Sono geloso e possessivo”
Lo spagnolo sorridendo, accorciò la distanza tra loro e Jan continuò: “Non mi va di saperti con nessuna donna, tanto meno in balia di prostitute che possono mischiarti chissà cosa”
“Userei precauzioni” strizzò l'occhio.
Quella frase sconvolse Jan facendogli salire la rabbia: “Allora, accomodati! Vai pure a intrattenerti con qualche sgualdrina!” sbottò scostando il lenzuolo. “Stronzo” mormorò con un filo di voce.
La risata cristallina di Miguel costrinse Jan a voltarsi e a fissarlo incredulo.
Lo spagnolo decise di mettere fine a quella farsa. “Ci sei cascato come un pollo!”
Vedendo che Jan lo fissava, Miguel continuò a ridere: “Ti ho preso in giro! Non è vero niente!”
Jan aprì la bocca per parlare, ma l’altro lo precedette: “Ma l’hai vista? Avrà avuto più di quarant’anni e poi pesava un accidenti!”
“Perché mi hai mentito?” Jan gli sferrò uno scappellotto.
Miguel ghignò: “Mi piace provocarti!” e dopo averlo spinto con forza sul letto, gli sedette in grembo. “Che credulone sei!”
“Lasciami!” Jan si dimenò cercando di liberarsi dalla sua stretta.
“Non ci penso proprio!” continuò a ridere divertito. “Sei troppo divertente quando ti arrabbi”
Jan aggrottò la fronte, mentre aumentava il bisogno di prenderlo a pugni. “Ti faccio passare la voglia” lo colpì con dei pugni sul petto, ma Miguel afferratogli le braccia, le bloccò contro il materasso.
“Sei mio!” si sporse in avanti, spingendo il bacino verso il basso.
Il biondo cominciò a sentirsi a disagio in quella posizione. La vicinanza di Miguel gli provocava uno strano formicolio alle parti basse e la frizione del suo corpo, contribuiva ad animare il sesso nei pantaloni. “Mollami, Miguel!” risuonò come un grido strozzato.
“Altrimenti che fai?” lo provocò muovendosi su di lui.
“Te la faccio pagare cara e non scherzo!”
“Ma davvero!” si protese in avanti, i visi potevano quasi sfiorarsi
Quando Jan avvertì il respiro caldo di Miguel sulla pelle, il cervello gli mandò un segnale di pericolo.
“Arrenditi! Sono il più forte!” Miguel sorrise maligno, gli occhi fissi sulle sue labbra.
“Sei solo uno sbruffone” Jan tentò di pensare a qualcosa di poco sensuale che potesse far diminuire l’eccitazione che provava, ma fu tutto inutile. L’erezione premeva inesorabile contro la stoffa leggera dei pantaloni.
Miguel si accorse del suo stato: “Il film ha fatto effetto anche a te, vecchio birbante!” gli sferrò un pizzicotto sul braccio, poi si spostò verso l’ascella.
Imbarazzato, Jan tentò di scrollarselo di dosso, ma Miguel non aveva alcuna intenzione di lasciarlo andare. Continuò a pizzicarlo, scendendo lungo il torace scolpito. Insinuò la mano sotto la maglietta e accarezzò gli addominali a tartaruga dei quali il compagno andava tanto fiero.
Jan ansimò, le sue mani fresche contrastarono con il calore della sua pelle.
Gli occhi scuri dello spagnolo bruciavano come braci e Jan si sentì perduto. Senza rendersene conto le bocche s’incontrarono per un bacio fugace. Fu un leggero tocco, ma sufficiente a sconvolgerli.
Miguel si scansò con il cuore che faceva le capriole e lanciò un’occhiata a Jan, il quale ansimava visibilmente turbato. Ciò che lesse nel suo sguardo lo illuminò: il desiderio era ricambiato e quella notte il destino aveva fatto in modo che si trovassero a dividere un letto. Conscio di quello che anche Jan provava, Miguel si stese su di lui e tornò a baciarlo lentamente, gustando ogni attimo.
Ansimando Jan rispose con trasporto e lo attirò più vicino. Le bocche si cercarono e stuzzicarono, mentre le lingue duellavano tra loro.
Per mancanza d’aria, Jan fu il primo a staccarsi. Boccheggiando sfiorò il volto dell’amico. Lambì anche la cicatrice e sospirando, scese lungo il collo: “Potrei percorrere il tuo corpo a occhi chiusi”. Nonostante fossero solo amici, sapeva di conoscere Miguel meglio di chiunque altro.
“Io invece non vedo l’ora di guardarti senza questi stracci” gli prese la mano e mordicchiò le dita.
Jan si sentì invadere da un calore improvviso e desiderò solo poter trascorrere tutta la notte ad amarlo, a vezzeggiare ogni centimetro del suo splendido fisico.
“Ma non stanotte”
La sua scelta spiazzò Jan che si ritrovò a fissarlo incredulo.
Miguel sorrise e dopo avergli posato un leggero bacio sulla bocca socchiusa, appoggiò la testa sul suo petto: “Davvero pensavi l’avremmo fatto in questa stanza così squallida?”
“No, è che…in effetti non fa una piega”
“E poi, voglio che ti senta a tuo agio e qui non lo sei”
Incapace di proferire parola per l’emozione, Jan lo strinse con forza a sé e gli posò un bacio sulla fronte. Quando lo sentì respirare in modo regolare, si assopì a sua volta.

sabato 9 luglio 2011

Lezioni di tango



Un professore di spagnolo, e il suo cane. Un veterinario e suo figlio. Una ragazza passato dell'uno e presente dell'altro.
L''amica punkettara. Adolescenti irrequieti e un amore imprevedibile. Tanti animali e, sullo sfondo, la provincia marchigiana, a ritmo di tango.

sabato 11 giugno 2011

Bienvenido a Miami cap 5



Vietato ai minori di 18 anni per scene di sesso esplicite.

5


Vince allungò il braccio per permettere ad uno degli agenti della squadra di allacciargli al polso l’orologio provvisto di microchip. Jan si trovava dall’altra parte dell’ufficio, la schiena appoggiata alla parete e le braccia incrociate al petto. Era in ansia, Vince rischiava la vita per la voglia di dimostrare di essere all’altezza del compito affidatogli e per la leggerezza con la quale affrontava il tutto. In realtà, era anche altro che preoccupava il commissario: Estefan Santiago. Rivedere quel volto così familiare lo aveva spiazzato. Credeva di aver superato la perdita di Miguel, ma sbagliava. Era bastato scorgere una somiglianza per mandarlo nel panico e far riaffiorare ricordi della sua vita passata e soprattutto della loro storia a cui non pensava ormai da tanto, soprattutto da quando si era nuovamente innamorato.
“Siamo pronti!” la voce del tenente Sanchez lo riportò alla realtà.
Jan si mosse verso Vince osservandolo con attenzione, sembrava proprio entrato nella parte. Indossava una canottiera bianca dalla quale fuoriusciva un ciuffetto di peli, pantaloni blu fino al ginocchio e camicia a fiori. Ai piedi un paio di Converse azzurre e al polso un orologio pacchiano d’oro che celava il microfono. Fece una smorfia, sebbene il look fosse lontano anni luce dai suoi gusti, trovava il suo ragazzo ugualmente irresistibile.
Vince gli sorrise, poi tornò serio cercando di non lasciar trapelare l’inquietudine che lo attanagliava “Come sto?”
Jan storse il naso e l’altro scoppiò a ridere “Sono perfetto, allora”
“Per i bassifondi, forse”
“Esagerato. Sto davvero tanto male?” domandò ai presenti.
“Passabile” disse un agente “speriamo che la bevano altrimenti…”
“La berranno” Vince aggiustò i capelli.
“Ricorda cosa dire?” intervenne il tenente Sanchez.
“Certo, ho tutto qui!” si toccò una tempia.
“Bene, noi saremo in ascolto, ma non potremo comunicare. Se Santiago dovesse capire che qualcosa non va, la prego di uscire immediatamente dal locale. Quell’uomo è pericoloso”
“Non mi farò uccidere, tenente”
Lei annuì, poi aggiunse “Commissario Maybach, potrebbe seguire da vicino l’operazione per intervenire in caso di necessità. Che ne pensa?”
“La trovo un’ottima idea, tenente Sanchez” sorrise rassicurato.
“Tutti pronti? Bene, si va in scena”
Uscirono dall’ufficio, ma Jan trattenne il compagno “Sii prudente, Vince”
“Lo sarò” gli appoggiò una mano sul petto “non preoccuparti” e si allontanò.


Un’ora dopo Vince era seduto al bar del “Choza” in attesa di Santiago, davanti a sé un cocktail a base di tequila. Lo sguardo vagò annoiato da una parte all’altra del locale. Individuò Jan in un angolo, intento a chiacchierare con una ragazza dai lunghi capelli neri stretta in un mini abito rosso fuoco. Gli venne da ridere, il suo Jan sembrava a disagio. Di certo, lei stava cercando di portarselo a letto. E come darle torto… Jan era talmente bello e sensuale che nemmeno una cieca avrebbe resistito.
Improvvisamente Vince avvertì una presenza alle sue spalle. Prima che potesse voltarsi, una mano gli afferrò il braccio. Si trovò davanti lo stesso energumeno della sera precedente.
“Il mio capo vuole vederti!” esclamò Josè aumentando la stretta “Seguimi!”
“Non è per questo che sono qui? Dov’è?”
Sentendosi tirare senza ricevere alcuna replica, Vince lo strattonò “Lasciami! Dove mi porti?”
“Se vuoi parlare con el senior Santiago verrai con me!”
Fu condotto verso la porta sul retro, per essere sbattuto addosso a un fuoristrada nero dai vetri oscurati.
Colpì la schiena contro la portiera “Cazzo, fai piano, bestione”
L’altro lo guardò torvo e lo spinse dentro dalla testa.
Sul sedile accanto a lui tre uomini, presumibilmente portoricani, lo fissarono truci intimandogli di restare fermo.
Uno si sporse verso di lui “Dammi le mani”
Obbedì e un attimo dopo si ritrovò i polsi legati tra loro. Sugli occhi gli fu stretta una benda.
Vince rabbrividì dandosi dell’idiota. Perché ho insistito? Ora sto rischiando la vita, senza neanche la possibilità di salutare Jan per l’ultima volta!
“Dove mi portate?”
Nessuno rispose e Vince, ormai rassegnatosi al suo triste destino, si appoggiò alla spalliera.
Quando l’auto si fermò, qualcuno aprì la portiera che scricchiolò e lui fu trascinato fuori in malo modo.
“Eccoci, siamo arrivati, ragazzino!” Josè lo sbendò e poi gli liberò le braccia.
“Era proprio necessario?” protestò Vince massaggiando i polsi doloranti.
“Seguimi senza fiatare”
Vince annuì, lo sguardo si posò sulla pistola che usciva dai suoi pantaloni e deglutì, era sempre più certo di essersi cacciato in un vero guaio.
Guardandosi intorno si rese conto che si trovava in un’enorme villa circondata da un giardino grande almeno il triplo del suo appartamento a Lipsia. Il prato era abbellito da alcune statue di nudi e una fontana di marmo.
Attraversarono il viale, la villa era preceduta da un portico con colonne. Giunti all’interno del salone si trovarono davanti ad una scalinata che portava al piano superiore. Al soffitto scendeva un lampadario stracarico di cristalli e alle pareti quadri che rappresentavano varie figure femminili, alcune accovacciate, alcune vestite, altre in pose lascive. Vince spalancò la bocca per la sorpresa, non credeva si sarebbe trovato davanti a tanto lusso, ma in fondo non doveva meravigliarsi. Quella era l’abitazione di un narcotrafficante.
“Dove stiamo andando?”
“Muovi il culo, el senior Santiago ti aspetta in piscina”
Quando furono in prossimità della porta a vetri che portava all’esterno, l’energumeno lo bloccò “Se tenti qualche scherzetto, ti faccio fuori!”
Vince represse un sorriso, si riferiva a quello che gli aveva combinato la sera precedente.
“Hai capito?”
“Tutto chiaro! Sono qui per affari!”
“Bene!” Josè aprì la porta-finestra e uscì seguito dall’infiltrato.
Vince non era pronto allo spettacolo che gli si presentò agli occhi: la piscina dalla forma oblunga occupava quasi tutto lo spazio disponibile, decine di ragazze scherzavano lanciandosi palloncini pieni d’acqua o sedevano su poltroncine gonfiabili sorseggiando drink multicolori. Su di un lettino gonfiabile un uomo estremamente attraente sorseggiava un martini on the rock. Lo copriva solamente uno slip bianco troppo piccolo per contenere l’erezione che sembrava sentisse un estremo bisogno di fuoriuscire da un angolo.
Due ragazze gli erano stese accanto, una di colore, con un bikini giallo, lo baciava sul collo, mentre l’altra, una rossa mozzafiato, gli accarezzava il torace bagnato. Sebbene le fanciulle fossero veramente belle, Vince non riuscì più a staccare lo sguardo dall’uomo. Ma questi sembrava non essersi ancora accorto della sua presenza.
Il suo scagnozzo si avvicinò a bordo piscina “Senior. L’uomo che attendeva!”
Questi puntò le iridi scure sul nuovo arrivato. In quell’attimo, Vince avvertì uno strano formicolio alle parti basse. Provò a spostare l’attenzione su una delle ragazze, ma quel viso lo attraeva come un magnete. Gli ritornarono alla mente le foto in casa di Jan, collocate nei vari portaritratti, persino sul comò di fronte al letto dove pressappoco ogni notte facevano l’amore, troneggiava un’immagine sua con il compagno scomparso!
Vince decretò che la somiglianza tra loro fosse davvero incredibile.
Se qui ci fosse Jan non so come reagirebbe nel rivedere il sosia, ‘la perfetta copia’ del suo compagno scomparso.
Santiago continuò a fissarlo con interesse. Sulle labbra carnose apparve un sorrisetto malizioso.
Vince sentì la gola seccarsi, l’atmosfera si stava davvero riscaldando. La canottiera aderì al punto da diventare una seconda pelle.
Improvvisamente immagini di Miguel e Jan insieme si affollarono nella mente tormentandolo. Si sentì quasi un testimone involontario del loro amore.


In una visione li vide in ufficio a Lipsia, all’esterno il sole era già tramontato, ma i due sedevano ancora alle loro scrivanie, occupati a sbrigare delle vecchie pratiche.
Miguel rosicchiava il tappo della penna sbuffando, era un uomo d’azione e detestava dover sbrigare del lavoro di cancelleria. Jan alzò il capo dal documento che stava leggendo e ridacchiò.
“Che hai da ridere? Potremmo essere già in un pub davanti ad una birra e invece siamo bloccati qui!”
“Non vedi il lato positivo di tutto questo” Jan lo raggiunse e sedette sulla sua scrivania accavallando le gambe. Negli occhi una strana luce.
Miguel appoggiò la schiena alla spalliera “Dimmi quale sarebbe il lato positivo nel trascorrere il venerdì sera tra le scartoffie”
Con un piede Jan attirò verso di sé la poltroncina sulla quale era seduto il compagno “Siamo soli e soprattutto liberi di fare ciò che vogliamo” si sporse verso di lui.
“Sei diabolico, Jan” Miguel appoggiò le mani sulle cosce del collega.
Le labbra si unirono. Fu un bacio delicato, ma bastò a infiammarli. Miguel gli conficcò le dita nella stoffa dei pantaloni.
Incontrando la lingua con la sua, Jan approfondì il contatto “Chiudo la porta” si staccò.
Miguel lo trattenne “No! Rischiamo!” gli slacciò la cinta.
“Ti piace il pericolo, vero?” sbottonò la camicia di Miguel e vi insinuò le dita.
“Sempre! Siediti su di me, Jan”
“Vuoi che ti cavalchi, amore mio?” accarezzò il torace.
Gli occhi dello spagnolo s’illuminarono “Mi fa impazzire quando mi dici amore mio”
Jan si spogliò lentamente sotto il suo sguardo attento, poi gli sedette in grembo “Ti desidero come un pazzo, lo sai, vero?”
Miguel tornò a reclamare le labbra. Sbottonò i jeans ansioso di essere dentro di lui.
Lasciata scivolare la camicia sul pavimento, Jan spostò le labbra sul collo, lo leccò con la punta della lingua “Adoro il tuo sapore”
“E io adoro te” Miguel lo penetrò fino in fondo.
Jan ansimò muovendosi sinuoso “Scopami!”
Miguel lo accontentò e alzato il bacino pose le mani sui fianchi per assecondare i suoi assalti “Cavalcami! Scopati su di me!”
“Ti prego, non ti fermare.” Lo supplicò Jan in preda all’estasi.

“Hermosos ojos, mi vuole dire a cosa devo il piacere della sua presenza nella mia casa?”
Vince tornò alla realtà. Non era né il momento né il luogo per lasciarsi invadere dalla gelosia, nemmeno chiedersi il perché di quella fantasia sciocca. Jan non avrebbe mai fatto sesso con Miguel in ufficio né con chiunque altro! Vince alzò la testa e si rese conto che il trafficante non era più in acqua, ma ad un passo da lui e lo guardava con estremo interesse. Era sempre nudo, ma un asciugamano, con il quale si tamponava, celava una parte del torace.
“Vede, io...” balbettò. Cosa diavolo mi sta succedendo?
Santiago sorrise “Sai che non sei niente male? Qual è il tuo nome, dolcezza?”
“Vince” mormorò distogliendo lo sguardo dal corpo bagnato ed eccitato che gli era davanti e lo posò sul viso.
“Di dove sei? Il tuo accento mi è familiare, sei tedesco?” corrugò la fronte.
“Sì, di Berlino. È mai stato in Germania?”
“No” scosse la testa “Cosa ti porta a Miami, Vince?” avanzò di un passo.
“Affari, signor Santiago e sono qui per proporgliene uno”
“Chiamami Estefan, dolcezza” gli lisciò il colletto della camicia “tutto a tempo debito. Siamo ad una festa e io non discuto mai d’affari davanti a delle belle donne, preferisco fare altro” fece l’occhiolino, poi si voltò verso una biondina “Porta da bere al nostro ospite”
“Veramente, non…” Vince tentò di rifiutare.
“Non farti pregare, mi piaci. Sembri un tipo in gamba” avvicinò il viso al suo.
Vince poté avvertire il suo alito, un misto di tequila e tabacco, combinazione che non fece altro che accentuare l’attrazione che provava “Signor Santiago, Estefan... la ringrazio, ma…”
“Non dirmi che sei astemio!” scoppiò a ridere.
“No!” si affrettò a negare “Anzi, accetto volentieri” l’ultima cosa che voleva, era contrariarlo.
Estefan sorrise “Non hai caldo con tutta quella roba addosso?”
“Sto bene” mentì.
In quel momento un palloncino pieno d’acqua lo colpì infradiciandolo da capo a piedi “Merda” imprecò il poliziotto nella sua lingua madre.
L’ispanico scoppiò a ridere, mentre Vince non lo trovò affatto divertente. Stizzito, si tolse la camicia e la strizzò “Se non altro, mi sono rinfrescato” blaterò per sciogliere la tensione.
“Sei proprio tenero” Estefan lasciò vagare lo sguardo sul torace del giovane “un cucciolo da accarezzare!” aggiunse con voce profonda.
Vince fremette, quell’uomo aveva deciso di farlo impazzire! Considerò che avrebbe fatto meglio ad andare via prima fosse troppo tardi “Non avrebbe qualcosa con cui possa asciugarmi?”
Estefan fece un cenno e la fanciulla dai lunghi capelli biondi ritornò con i drink e un asciugamano. Appoggiato il tutto sul tavolo, si strinse al padrone di casa il quale le sferrò una pacca sul sedere. Lei fece un gridolino, ridacchiando. Vince cercò di asciugarsi alla meglio, ma era completamente zuppo.
“Puoi andare, dolcezza” le disse Estefan.
“Non torni da noi, tesoro?” civettò vogliosa “Ci manchi”
“Tra un attimo” le fece segno di allontanarsi.
“Bevi tedesco, è tutto tuo” Vince accettò ma quando gli porse il bicchiere e le dita si sfiorarono, Vince si sentì invadere da un’ennesima ondata di calore. Lo ingoiò tutto d’un sorso, poi tossì, era esageratamente alcolico.
“Troppo forte? Sai, l’ho inventato io, si chiama Orgasmo ed è a base di tequila.”
“Squisito” mormorò Vince mentre la gola chiedeva pietà.
Una delle ragazze, una bella morettina sorrise al tedesco, poi gli fece cenno di raggiungerle, ma Estefan scosse la testa “No, piccola, non vorrai che il nostro ospite entri lì dentro dopo tutto quello che ci abbiamo combinato”
Vince fissò l’acqua torvo. Un’altra ragazza si avvicinò porgendo un accappatoio al padrone di casa. Questi l’indossò, poi strinse il braccio al suo collega “Vieni con me!”
“Dove mi porta?” pensò non fosse prudente restare da solo con lui.
“In un posto dove si può parlare in santa pace” lo condusse all’interno della villa. Dopo aver varcato la porta-finestra, entrarono nel grande salone.
Scesero una scalinata di legno, poi attraversarono un lungo corridoio giungendo di fronte ad una porta. Oltrepassato l’uscio, si ritrovarono in un enorme bagno completamente rivestito in marmo bianco. Al centro, una vasca idromassaggio con i rubinetti d’oro.
“Ti piace la mia Jacuzzi?”
“Caspita” si lasciò sfuggire Vince.
“Mai stato in una di queste?” si voltò.
“In verità, no”
“Cazzo, voi tedeschi non sapete come ci si diverte?” appoggiato il drink sul bordo, aprì il getto d’acqua.
“Che fa?” Vince era preoccupato per ciò che lo attendeva e cosa avrebbero pensato gli altri ascoltando la conversazione? E Jan?
Sono davvero nei pasticci.
“Preparo la vasca, ho bisogno di rilassarmi dopo tutto quel movimento e anche tu” Estefan lasciò vagare lo sguardo lungo il suo corpo “anzi, ho proprio qualcosa che fa al caso nostro” si mosse verso un mobile.
Aprì un cassetto e ne cacciò statuetta scura dalla forma di una divinità, probabilmente africana. Rappresentava una donna dalle grosse mammelle e dal clitoride dalle proporzioni improbabili. “Cos’è?” domandò il tedesco fissando quella strana scultura.
“Una sorpresa” ridacchiò “Ti va di fare due tiri? È purissima”
“Io non…”
“Su, ne hai bisogno, sei così teso”
Il trafficante pose un paio di strisce sul bordo della vasca, poi usò il ‘clitoride’ che, estratto dalla divinità, fungeva da cannuccia. Abbassò la testa e sniffò pulendosi i residui con le dita. Lo invitò a servirsi. Vince, non sapendo come districarsi da quella situazione, fu attanagliato da timori più che fondati.
Merda e se mi sento male? E se vado in overdose? Furono i pensieri sinistri che affollarono la mente dell’infiltrato.
“Non farti pregare, offro io” gli porse la cannuccia.
Vince la strinse tra le dita e, per la prima volta in vita sua, sniffò cocaina. Appena tirata si sentì formicolare il naso. Nonostante il disagio, tentò di rilassarsi per non sembrare un pivello.
Estefan sorrise, poi accorciò la distanza tra loro “Ora ti sentirai meglio” accarezzò il torace attraverso la canottiera.
Vince, avvertendo il tocco della sua mano calda, gemette mentre la droga cominciava ad entrare in circolo. Il cuore accelerò i battiti, la testa divenne leggera, i sensi si acuirono. Si sentiva alla grande e una vampata di calore improvvisa lo convinse a spogliarsi.
“Le dispiace se mi tolgo questa? È bagnata”
“Fai pure, anzi…”
Vince sfilò la canottiera dalla testa restando solo con i pantaloni ormai fastidiosamente stretti. Appoggiò l’indumento sulla poltroncina
Quando lo sguardo di Estefan si posò sugli addominali scolpiti, si leccò le labbra “Caspita, meglio di quanto pensassi! Ti tieni in forma”
“Sì, pratico molto sport” Vince si passò una mano nei capelli.
“Notevole, ma voi tedeschi siete tutti così… dotati?”
Vince arrossì a disagio pensando a Jan che ascoltava ogni parola. Se solo avesse potuto disattivare la trasmittente, ma se poi gli fosse servito il suo aiuto? “Non tutti” ribatté alla domanda sulla prestanza teutonica.
Voltatosi Estefan si avvicinò alla vasca e attivò l’idromassaggio. Nella stanza si diffuse uno strano ronzio. Vince notò un tatuaggio tra le scapole che raffigurava un pipistrello con le ali aperte.
“Li porta sempre qui a discutere di lavoro i suoi ospiti?”
“Solo se ne vale davvero la pena” sorrise.
Tolto l’accappatoio, si voltò per entrare nella Jacuzzi. Al contatto con l’acqua gemette. Lo sguardo si posò sul giovane che gli era davanti “Non entri?”
Vince esitò, poi avanzò verso la vasca, ma Estefan lo bloccò “Spogliati!”
“Non ho il costume”
“E con questo? Su, togli i pantaloni”
Il giovane imprecò mentalmente, ma obbedì. Non poteva mostrarsi troppo pudico, in fondo doveva sembrare uno spacciatore smaliziato non un ragazzino pieno di timori reverenziali.
Si spogliò sotto lo sguardo attento del trafficante, fino a restare in boxer bianchi, poi infilò un piede nell’acqua. Mentre s’immergeva sempre senza staccare lo sguardo dal suo ospite, sospirò leggermente. Non lo avrebbe mai ammesso, ma gli piaceva. C’era qualcosa in lui che lo attraeva, forse era la somiglianza con Miguel oppure il fascino latino. O quello del figlio di puttana, l’antitesi di Jan...
Appoggiata la schiena alla parete della vasca, lasciò ciondolare fuori le braccia. Vince avrebbe voluto risolvere al più presto quella faccenda per potersene andare via, ma temeva non sarebbe stato affatto semplice.
“Allora, Vince” avvicinandosi Estefan lo fissò con occhi come braci “ora che siamo soli, parla!”
“Ho un affare da proporle”
“Dammi del tu” lo corresse.
“Ho un affare molto redditizio da proporti”
“Ti ascolto” ritornò nel suo angolo, appoggiando le spalle contro il bordo.
“Il mio capo vorrebbe acquistare un quantitativo di Diamond”
“Di quante pasticche si parla?”
“Tu quante ne hai a disposizione?”
Estefan scoppiò a ridere divertito “Vuoi farmi credere che ha intenzione di accaparrarsi l’intera partita?”
Vince annuì “Ha molti soldi da spendere”
“Davvero credi che mi lascerei infinocchiare? Ha intenzione di fottermi il territorio?” la voce era all’apparenza calma, ma lasciava presagire tempesta “Se è così, stai sprecando il tuo fiato, anzi, rischi anche la pelle, dolcezza, oltre che il culo”
“Non ha intenzione di invadere il tuo territorio, Estefan” spiegò fingendo calma: “la nostra rete si sviluppa in Europa, per la precisione nell’Europa dell’est; Germania, Bulgaria, Ungheria…”
“In Germania ho dei miei agenti, soprattutto a Lipsia e Berlino”
“Che ne diresti di dividere il raggio d’azione? Lui si rifornirebbe delle pasticche di cui ha bisogno, triplicandoti i guadagni e portandoti altri compratori, ma in cambio tu dovrai lasciare a lui i tuoi traffici in Germania”
Estefan lo fissò pensieroso e Vince continuò “Sembra un accordo più che vantaggioso, no? Tu avresti il monopolio di Miami, lui avrebbe quello dell’Europa dell’est”
“Io non ho il monopolio di questa fottuta città, ci sono dei bastardi figli di una cagna che mi contrastano” replicò con rabbia “ma ancora per poco”
“Siamo al corrente anche di questo, ma se accetterai non saranno più un ostacolo. Saranno spazzati via”
“E chi cazzo sarebbe il tuo capo, Attila?” lo prese in giro. La sua proposta appariva ridicola e inverosimile.
“Uno che non va per il sottile, se qualcuno lo intralcia…”
“Mi stai minacciando?” in un attimo Estefan fu su di lui. Pose le mani ai lati della testa e gli si spinse addosso.
Vince poté avvertire l’imponenza del suo corpo massiccio. Cercò di allontanarlo, ma Estefan lo schiacciò maggiormente.
“Vieni a casa mia ed osi anche minacciarmi?” la bocca era talmente vicina alla sua che, se si fosse sporto di un niente, avrebbe potuto baciarlo “Sai che potrei prenderla male?”
“No, non era mia intenzione” balbettò ansimando, la sua vicinanza gli era pressoché insopportabile.
Santiago lo scrutò cercando di capire se stesse mentendo o meno, poi percepì l’erezione contro la coscia e ghignò “Interessante, ma cosa abbiamo qui?”
“Non starmi addosso”
“A me sembra che apprezzi” tolse una mano dal bordo della vasca e l’immerse nell’acqua planando tra le gambe di Vince.
“Cazzo” imprecò scattando.
“Siamo ben equipaggiati, sento” le dita del trafficante solleticarono il membro attraverso la stoffa dell’intimo ormai inconsistente.
“Lasciami”
“Perché dovrei? Me lo hai fatto rizzare” piegò la testa di lato baciandogli il collo “mi piace il tuo sapore”
Vince gemette ed eccitato mormorò qualcosa nella sua lingua natale. Estefan continuò il suo cammino, ma quando le parole gli giunsero alle orecchie, si rese conto di aver compreso cosa volessero dire. Si bloccò stupito, non era mai stato in Germania e di certo, non aveva mai studiato il tedesco. Si chiese come mai fosse possibile.
Vince si accorse del suo turbamento e lo fissò stranito “Che hai? Ti senti male?”
“Sto benissimo” replicò seccato “Dove eravamo? Ah, si” e ricominciò a palpeggiarlo.
Raggiunta la spalla leccò la clavicola. Tornò verso l’alto, mentre con le dita liberava il sesso. Mentre lo masturbava, sussurrò all'orecchio di Vince frasi che infiammarono il giovane tedesco, il quale buttò la testa indietro e allargò le gambe per fornirgli maggiore accesso. Scariche elettriche si propagarono lungo la schiena.
“Datti da fare, dolcezza!” ordinò Estefan aumentando il ritmo.
Vince allungò la mano, posandola sulla punta del membro che fuoriusciva dal costume. Pensò che in piscina aveva avuto una giusta impressione: era davvero molto dotato. Sfiorò il sesso poi preso coraggio, serrò le dita attorno iniziando a dargli piacere.
Estefan gemendo, avvicinò la bocca alla sua e l’accarezzò con la lingua “Ci sai fare, tedesco”
Lo baciò con violenza premendo per entrare, Vince socchiuse le labbra e rispose con altrettanto ardore lasciandosi inebriare da quel sapore latino.
Usò l’altro braccio per attirarlo a sé, poi gli circondò la vita con le gambe. Le mani si mossero frenetiche sui rispettivi sessi fino al raggiungimento del picco.
“Niente male, hai del potenziale” commentò accarezzandogli i capelli madidi di sudore.
“E tu baci da dio, Estefan” sfiorò il pizzetto sotto il mento. In quel momento notò un’anomalia, qualcosa che gli era sfuggito: uno sfregio sotto la bocca “e questo?” puntò con l’indice la cicatrice.
“Non so, dovevo essere piccolo quando mi sono procurato la ferita” tornò a cercare le sue labbra, tirando quello inferiore con i denti “Ho voglia di fotterti”
Vince sgranò gli occhi e s’irrigidì. Non era di certo preparato a una proposta del genere.
“Ti sto prendendo in giro” ridacchiò “Puoi respirare” si scansò per uscire dalla vasca.
“Dove vai?” gli occhi si posarono sul membro. Un neo grosso quando un fagiolo attirò la sua attenzione. L’osservò a lungo, fino a quando il trafficante non ebbe indossato nuovamente l’accappatoio e annodando la cinta.
“L’incontro è terminato”
Vince, ancora in acqua che cercava di riprendersi dall’orgasmo, sospirò.
“Che c’è? Non dirmi che ti ho già sfiancato” lo prese in giro “Tutta qui la resistenza di voi tedeschi?”
“Neanche per idea!” protestò Vince alzandosi a sua volta. I boxer bagnati gli aderivano mostrando la mercanzia.
“Notevole, davvero notevole” commentò Estefan “Asciugati!” ordinò “Josè ti attende qui fuori per riportarti al locale” e voltandosi per uscire si allontanò.
Vince gli corse dietro. Quando lo ebbe raggiunto, gli afferrò un braccio “Non mi hai dato una risposta”
“Dì al tuo capo che ci penserò. È stato un piacere parlare di affari con te”
Vince arrossì e lui gli sfiorò la guancia con il palmo “Sei davvero carino, la prossima volta potremo provare qualcosa di diverso” avvicinò le labbra all’orecchio “significa che ti scoperò fino a quando non cominci ad urlare”
Vince restò senza parole, ma al solo pensiero, il suo sesso ebbe un guizzo.
“Ora, devo andare. Ho un appuntamento molto importante” aprì la porta e uscì.
“Merda” imprecò una volta solo. Raccattò gli abiti e si vestì.
Lo scagnozzo di Santiago aprì la porta “Seguimi!”
Vince obbedì. Bendato fu riportato al locale, dove venne scaricato senza troppe cerimonie.
Prima di sgommare via Josè si sporse dal finestrino “Avrai nostre notizie”
“E come?”
L’altro gli lanciò un piccolo cellulare argentato “Prendi questo. Quando squillerà saprai che il capo vorrà parlarti” e il fuoristrada partì.
Terrorizzato all’idea che il compagno avesse ascoltato quanto successo con Santiago, si portò le mani alle tempie. Sospirando gravemente, guardò intorno la strada era deserta. Di Jan e degli altri nemmeno l’ombra.
5


Vince allungò il braccio per permettere ad uno degli agenti della squadra di allacciargli al polso l’orologio provvisto di microchip. Jan si trovava dall’altra parte dell’ufficio, la schiena appoggiata alla parete e le braccia incrociate al petto. Era in ansia, Vince rischiava la vita per la voglia di dimostrare di essere all’altezza del compito affidatogli e per la leggerezza con la quale affrontava il tutto. In realtà, era anche altro che preoccupava il commissario: Estefan Santiago. Rivedere quel volto così familiare lo aveva spiazzato. Credeva di aver superato la perdita di Miguel, ma sbagliava. Era bastato scorgere una somiglianza per mandarlo nel panico e far riaffiorare ricordi della sua vita passata e soprattutto della loro storia a cui non pensava ormai da tanto, soprattutto da quando si era nuovamente innamorato.
“Siamo pronti!” la voce del tenente Sanchez lo riportò alla realtà.
Jan si mosse verso Vince osservandolo con attenzione, sembrava proprio entrato nella parte. Indossava una canottiera bianca dalla quale fuoriusciva un ciuffetto di peli, pantaloni blu fino al ginocchio e camicia a fiori. Ai piedi un paio di Converse azzurre e al polso un orologio pacchiano d’oro che celava il microfono. Fece una smorfia, sebbene il look fosse lontano anni luce dai suoi gusti, trovava il suo ragazzo ugualmente irresistibile.
Vince gli sorrise, poi tornò serio cercando di non lasciar trapelare l’inquietudine che lo attanagliava “Come sto?”
Jan storse il naso e l’altro scoppiò a ridere “Sono perfetto, allora”
“Per i bassifondi, forse”
“Esagerato. Sto davvero tanto male?” domandò ai presenti.
“Passabile” disse un agente “speriamo che la bevano altrimenti…”
“La berranno” Vince aggiustò i capelli.
“Ricorda cosa dire?” intervenne il tenente Sanchez.
“Certo, ho tutto qui!” si toccò una tempia.
“Bene, noi saremo in ascolto, ma non potremo comunicare. Se Santiago dovesse capire che qualcosa non va, la prego di uscire immediatamente dal locale. Quell’uomo è pericoloso”
“Non mi farò uccidere, tenente”
Lei annuì, poi aggiunse “Commissario Maybach, potrebbe seguire da vicino l’operazione per intervenire in caso di necessità. Che ne pensa?”
“La trovo un’ottima idea, tenente Sanchez” sorrise rassicurato.
“Tutti pronti? Bene, si va in scena”
Uscirono dall’ufficio, ma Jan trattenne il compagno “Sii prudente, Vince”
“Lo sarò” gli appoggiò una mano sul petto “non preoccuparti” e si allontanò.


Un’ora dopo Vince era seduto al bar del “Choza” in attesa di Santiago, davanti a sé un cocktail a base di tequila. Lo sguardo vagò annoiato da una parte all’altra del locale. Individuò Jan in un angolo, intento a chiacchierare con una ragazza dai lunghi capelli neri stretta in un mini abito rosso fuoco. Gli venne da ridere, il suo Jan sembrava a disagio. Di certo, lei stava cercando di portarselo a letto. E come darle torto… Jan era talmente bello e sensuale che nemmeno una cieca avrebbe resistito.
Improvvisamente Vince avvertì una presenza alle sue spalle. Prima che potesse voltarsi, una mano gli afferrò il braccio. Si trovò davanti lo stesso energumeno della sera precedente.
“Il mio capo vuole vederti!” esclamò Josè aumentando la stretta “Seguimi!”
“Non è per questo che sono qui? Dov’è?”
Sentendosi tirare senza ricevere alcuna replica, Vince lo strattonò “Lasciami! Dove mi porti?”
“Se vuoi parlare con el senior Santiago verrai con me!”
Fu condotto verso la porta sul retro, per essere sbattuto addosso a un fuoristrada nero dai vetri oscurati.
Colpì la schiena contro la portiera “Cazzo, fai piano, bestione”
L’altro lo guardò torvo e lo spinse dentro dalla testa.
Sul sedile accanto a lui tre uomini, presumibilmente portoricani, lo fissarono truci intimandogli di restare fermo.
Uno si sporse verso di lui “Dammi le mani”
Obbedì e un attimo dopo si ritrovò i polsi legati tra loro. Sugli occhi gli fu stretta una benda.
Vince rabbrividì dandosi dell’idiota. Perché ho insistito? Ora sto rischiando la vita, senza neanche la possibilità di salutare Jan per l’ultima volta!
“Dove mi portate?”
Nessuno rispose e Vince, ormai rassegnatosi al suo triste destino, si appoggiò alla spalliera.
Quando l’auto si fermò, qualcuno aprì la portiera che scricchiolò e lui fu trascinato fuori in malo modo.
“Eccoci, siamo arrivati, ragazzino!” Josè lo sbendò e poi gli liberò le braccia.
“Era proprio necessario?” protestò Vince massaggiando i polsi doloranti.
“Seguimi senza fiatare”
Vince annuì, lo sguardo si posò sulla pistola che usciva dai suoi pantaloni e deglutì, era sempre più certo di essersi cacciato in un vero guaio.
Guardandosi intorno si rese conto che si trovava in un’enorme villa circondata da un giardino grande almeno il triplo del suo appartamento a Lipsia. Il prato era abbellito da alcune statue di nudi e una fontana di marmo.
Attraversarono il viale, la villa era preceduta da un portico con colonne. Giunti all’interno del salone si trovarono davanti ad una scalinata che portava al piano superiore. Al soffitto scendeva un lampadario stracarico di cristalli e alle pareti quadri che rappresentavano varie figure femminili, alcune accovacciate, alcune vestite, altre in pose lascive. Vince spalancò la bocca per la sorpresa, non credeva si sarebbe trovato davanti a tanto lusso, ma in fondo non doveva meravigliarsi. Quella era l’abitazione di un narcotrafficante.
“Dove stiamo andando?”
“Muovi il culo, el senior Santiago ti aspetta in piscina”
Quando furono in prossimità della porta a vetri che portava all’esterno, l’energumeno lo bloccò “Se tenti qualche scherzetto, ti faccio fuori!”
Vince represse un sorriso, si riferiva a quello che gli aveva combinato la sera precedente.
“Hai capito?”
“Tutto chiaro! Sono qui per affari!”
“Bene!” Josè aprì la porta-finestra e uscì seguito dall’infiltrato.
Vince non era pronto allo spettacolo che gli si presentò agli occhi: la piscina dalla forma oblunga occupava quasi tutto lo spazio disponibile, decine di ragazze scherzavano lanciandosi palloncini pieni d’acqua o sedevano su poltroncine gonfiabili sorseggiando drink multicolori. Su di un lettino gonfiabile un uomo estremamente attraente sorseggiava un martini on the rock. Lo copriva solamente uno slip bianco troppo piccolo per contenere l’erezione che sembrava sentisse un estremo bisogno di fuoriuscire da un angolo.
Due ragazze gli erano stese accanto, una di colore, con un bikini giallo, lo baciava sul collo, mentre l’altra, una rossa mozzafiato, gli accarezzava il torace bagnato. Sebbene le fanciulle fossero veramente belle, Vince non riuscì più a staccare lo sguardo dall’uomo. Ma questi sembrava non essersi ancora accorto della sua presenza.
Il suo scagnozzo si avvicinò a bordo piscina “Senior. L’uomo che attendeva!”
Questi puntò le iridi scure sul nuovo arrivato. In quell’attimo, Vince avvertì uno strano formicolio alle parti basse. Provò a spostare l’attenzione su una delle ragazze, ma quel viso lo attraeva come un magnete. Gli ritornarono alla mente le foto in casa di Jan, collocate nei vari portaritratti, persino sul comò di fronte al letto dove pressappoco ogni notte facevano l’amore, troneggiava un’immagine sua con il compagno scomparso!
Vince decretò che la somiglianza tra loro fosse davvero incredibile.
Se qui ci fosse Jan non so come reagirebbe nel rivedere il sosia, ‘la perfetta copia’ del suo compagno scomparso.
Santiago continuò a fissarlo con interesse. Sulle labbra carnose apparve un sorrisetto malizioso.
Vince sentì la gola seccarsi, l’atmosfera si stava davvero riscaldando. La canottiera aderì al punto da diventare una seconda pelle.
Improvvisamente immagini di Miguel e Jan insieme si affollarono nella mente tormentandolo. Si sentì quasi un testimone involontario del loro amore.
In una visione li vide in ufficio a Lipsia, all’esterno il sole era già tramontato, ma i due sedevano ancora alle loro scrivanie, occupati a sbrigare delle vecchie pratiche.
Miguel rosicchiava il tappo della penna sbuffando, era un uomo d’azione e detestava dover sbrigare del lavoro di cancelleria. Jan alzò il capo dal documento che stava leggendo e ridacchiò.
“Che hai da ridere? Potremmo essere già in un pub davanti ad una birra e invece siamo bloccati qui!”
“Non vedi il lato positivo di tutto questo” Jan lo raggiunse e sedette sulla sua scrivania accavallando le gambe. Negli occhi una strana luce.
Miguel appoggiò la schiena alla spalliera “Dimmi quale sarebbe il lato positivo nel trascorrere il venerdì sera tra le scartoffie”
Con un piede Jan attirò verso di sé la poltroncina sulla quale era seduto il compagno “Siamo soli e soprattutto liberi di fare ciò che vogliamo” si sporse verso di lui.
“Sei diabolico, Jan” Miguel appoggiò le mani sulle cosce del collega.
Le labbra si unirono. Fu un bacio delicato, ma bastò a infiammarli. Miguel gli conficcò le dita nella stoffa dei pantaloni.
Incontrando la lingua con la sua, Jan approfondì il contatto “Chiudo la porta” si staccò.
Miguel lo trattenne “No! Rischiamo!” gli slacciò la cinta.
“Ti piace il pericolo, vero?” sbottonò la camicia di Miguel e vi insinuò le dita.
“Sempre! Siediti su di me, Jan”
“Vuoi che ti cavalchi, amore mio?” accarezzò il torace.
Gli occhi dello spagnolo s’illuminarono “Mi fa impazzire quando mi dici amore mio”
Jan si spogliò lentamente sotto il suo sguardo attento, poi gli sedette in grembo “Ti desidero come un pazzo, lo sai, vero?”
Miguel tornò a reclamare le labbra. Sbottonò i jeans ansioso di essere dentro di lui.
Lasciata scivolare la camicia sul pavimento, Jan spostò le labbra sul collo, lo leccò con la punta della lingua “Adoro il tuo sapore”
“E io adoro te” Miguel lo penetrò fino in fondo.
Jan ansimò muovendosi sinuoso “Scopami!”
Miguel lo accontentò e alzato il bacino pose le mani sui fianchi per assecondare i suoi assalti “Cavalcami! Scopati su di me!”
“Ti prego, non ti fermare.” Lo supplicò Jan in preda all’estasi.
“Hermosos ojos, mi vuole dire a cosa devo il piacere della sua presenza nella mia casa?”
Vince tornò alla realtà. Non era né il momento né il luogo per lasciarsi invadere dalla gelosia, nemmeno chiedersi il perché di quella fantasia sciocca. Jan non avrebbe mai fatto sesso con Miguel in ufficio né con chiunque altro! Vince alzò la testa e si rese conto che il trafficante non era più in acqua, ma ad un passo da lui e lo guardava con estremo interesse. Era sempre nudo, ma un asciugamano, con il quale si tamponava, celava una parte del torace.
“Vede, io...” balbettò. Cosa diavolo mi sta succedendo?
Santiago sorrise “Sai che non sei niente male? Qual è il tuo nome, dolcezza?”
“Vince” mormorò distogliendo lo sguardo dal corpo bagnato ed eccitato che gli era davanti e lo posò sul viso.
“Di dove sei? Il tuo accento mi è familiare, sei tedesco?” corrugò la fronte.
“Sì, di Berlino. È mai stato in Germania?”
“No” scosse la testa “Cosa ti porta a Miami, Vince?” avanzò di un passo.
“Affari, signor Santiago e sono qui per proporgliene uno”
“Chiamami Estefan, dolcezza” gli lisciò il colletto della camicia “tutto a tempo debito. Siamo ad una festa e io non discuto mai d’affari davanti a delle belle donne, preferisco fare altro” fece l’occhiolino, poi si voltò verso una biondina “Porta da bere al nostro ospite”
“Veramente, non…” Vince tentò di rifiutare.
“Non farti pregare, mi piaci. Sembri un tipo in gamba” avvicinò il viso al suo.
Vince poté avvertire il suo alito, un misto di tequila e tabacco, combinazione che non fece altro che accentuare l’attrazione che provava “Signor Santiago, Estefan... la ringrazio, ma…”
“Non dirmi che sei astemio!” scoppiò a ridere.
“No!” si affrettò a negare “Anzi, accetto volentieri” l’ultima cosa che voleva, era contrariarlo.
Estefan sorrise “Non hai caldo con tutta quella roba addosso?”
“Sto bene” mentì.
In quel momento un palloncino pieno d’acqua lo colpì infradiciandolo da capo a piedi “Merda” imprecò il poliziotto nella sua lingua madre.
L’ispanico scoppiò a ridere, mentre Vince non lo trovò affatto divertente. Stizzito, si tolse la camicia e la strizzò “Se non altro, mi sono rinfrescato” blaterò per sciogliere la tensione.
“Sei proprio tenero” Estefan lasciò vagare lo sguardo sul torace del giovane “un cucciolo da accarezzare!” aggiunse con voce profonda.
Vince fremette, quell’uomo aveva deciso di farlo impazzire! Considerò che avrebbe fatto meglio ad andare via prima fosse troppo tardi “Non avrebbe qualcosa con cui possa asciugarmi?”
Estefan fece un cenno e la fanciulla dai lunghi capelli biondi ritornò con i drink e un asciugamano. Appoggiato il tutto sul tavolo, si strinse al padrone di casa il quale le sferrò una pacca sul sedere. Lei fece un gridolino, ridacchiando. Vince cercò di asciugarsi alla meglio, ma era completamente zuppo.
“Puoi andare, dolcezza” le disse Estefan.
“Non torni da noi, tesoro?” civettò vogliosa “Ci manchi”
“Tra un attimo” le fece segno di allontanarsi.
“Bevi tedesco, è tutto tuo” Vince accettò ma quando gli porse il bicchiere e le dita si sfiorarono, Vince si sentì invadere da un’ennesima ondata di calore. Lo ingoiò tutto d’un sorso, poi tossì, era esageratamente alcolico.
“Troppo forte? Sai, l’ho inventato io, si chiama Orgasmo ed è a base di tequila.”
“Squisito” mormorò Vince mentre la gola chiedeva pietà.
Una delle ragazze, una bella morettina sorrise al tedesco, poi gli fece cenno di raggiungerle, ma Estefan scosse la testa “No, piccola, non vorrai che il nostro ospite entri lì dentro dopo tutto quello che ci abbiamo combinato”
Vince fissò l’acqua torvo. Un’altra ragazza si avvicinò porgendo un accappatoio al padrone di casa. Questi l’indossò, poi strinse il braccio al suo collega “Vieni con me!”
“Dove mi porta?” pensò non fosse prudente restare da solo con lui.
“In un posto dove si può parlare in santa pace” lo condusse all’interno della villa. Dopo aver varcato la porta-finestra, entrarono nel grande salone.
Scesero una scalinata di legno, poi attraversarono un lungo corridoio giungendo di fronte ad una porta. Oltrepassato l’uscio, si ritrovarono in un enorme bagno completamente rivestito in marmo bianco. Al centro, una vasca idromassaggio con i rubinetti d’oro.
“Ti piace la mia Jacuzzi?”
“Caspita” si lasciò sfuggire Vince.
“Mai stato in una di queste?” si voltò.
“In verità, no”
“Cazzo, voi tedeschi non sapete come ci si diverte?” appoggiato il drink sul bordo, aprì il getto d’acqua.
“Che fa?” Vince era preoccupato per ciò che lo attendeva e cosa avrebbero pensato gli altri ascoltando la conversazione? E Jan?
Sono davvero nei pasticci.
“Preparo la vasca, ho bisogno di rilassarmi dopo tutto quel movimento e anche tu” Estefan lasciò vagare lo sguardo lungo il suo corpo “anzi, ho proprio qualcosa che fa al caso nostro” si mosse verso un mobile.
Aprì un cassetto e ne cacciò statuetta scura dalla forma di una divinità, probabilmente africana. Rappresentava una donna dalle grosse mammelle e dal clitoride dalle proporzioni improbabili. “Cos’è?” domandò il tedesco fissando quella strana scultura.
“Una sorpresa” ridacchiò “Ti va di fare due tiri? È purissima”
“Io non…”
“Su, ne hai bisogno, sei così teso”
Il trafficante pose un paio di strisce sul bordo della vasca, poi usò il ‘clitoride’ che, estratto dalla divinità, fungeva da cannuccia. Abbassò la testa e sniffò pulendosi i residui con le dita. Lo invitò a servirsi. Vince, non sapendo come districarsi da quella situazione, fu attanagliato da timori più che fondati.
Merda e se mi sento male? E se vado in overdose? Furono i pensieri sinistri che affollarono la mente dell’infiltrato.
“Non farti pregare, offro io” gli porse la cannuccia.
Vince la strinse tra le dita e, per la prima volta in vita sua, sniffò cocaina. Appena tirata si sentì formicolare il naso. Nonostante il disagio, tentò di rilassarsi per non sembrare un pivello.
Estefan sorrise, poi accorciò la distanza tra loro “Ora ti sentirai meglio” accarezzò il torace attraverso la canottiera.
Vince, avvertendo il tocco della sua mano calda, gemette mentre la droga cominciava ad entrare in circolo. Il cuore accelerò i battiti, la testa divenne leggera, i sensi si acuirono. Si sentiva alla grande e una vampata di calore improvvisa lo convinse a spogliarsi.
“Le dispiace se mi tolgo questa? È bagnata”
“Fai pure, anzi…”
Vince sfilò la canottiera dalla testa restando solo con i pantaloni ormai fastidiosamente stretti. Appoggiò l’indumento sulla poltroncina
Quando lo sguardo di Estefan si posò sugli addominali scolpiti, si leccò le labbra “Caspita, meglio di quanto pensassi! Ti tieni in forma”
“Sì, pratico molto sport” Vince si passò una mano nei capelli.
“Notevole, ma voi tedeschi siete tutti così… dotati?”
Vince arrossì a disagio pensando a Jan che ascoltava ogni parola. Se solo avesse potuto disattivare la trasmittente, ma se poi gli fosse servito il suo aiuto? “Non tutti” ribatté alla domanda sulla prestanza teutonica.
Voltatosi Estefan si avvicinò alla vasca e attivò l’idromassaggio. Nella stanza si diffuse uno strano ronzio. Vince notò un tatuaggio tra le scapole che raffigurava un pipistrello con le ali aperte.
“Li porta sempre qui a discutere di lavoro i suoi ospiti?”
“Solo se ne vale davvero la pena” sorrise.
Tolto l’accappatoio, si voltò per entrare nella Jacuzzi. Al contatto con l’acqua gemette. Lo sguardo si posò sul giovane che gli era davanti “Non entri?”
Vince esitò, poi avanzò verso la vasca, ma Estefan lo bloccò “Spogliati!”
“Non ho il costume”
“E con questo? Su, togli i pantaloni”
Il giovane imprecò mentalmente, ma obbedì. Non poteva mostrarsi troppo pudico, in fondo doveva sembrare uno spacciatore smaliziato non un ragazzino pieno di timori reverenziali.
Si spogliò sotto lo sguardo attento del trafficante, fino a restare in boxer bianchi, poi infilò un piede nell’acqua. Mentre s’immergeva sempre senza staccare lo sguardo dal suo ospite, sospirò leggermente. Non lo avrebbe mai ammesso, ma gli piaceva. C’era qualcosa in lui che lo attraeva, forse era la somiglianza con Miguel oppure il fascino latino. O quello del figlio di puttana, l’antitesi di Jan...
Appoggiata la schiena alla parete della vasca, lasciò ciondolare fuori le braccia. Vince avrebbe voluto risolvere al più presto quella faccenda per potersene andare via, ma temeva non sarebbe stato affatto semplice.
“Allora, Vince” avvicinandosi Estefan lo fissò con occhi come braci “ora che siamo soli, parla!”
“Ho un affare da proporle”
“Dammi del tu” lo corresse.
“Ho un affare molto redditizio da proporti”
“Ti ascolto” ritornò nel suo angolo, appoggiando le spalle contro il bordo.
“Il mio capo vorrebbe acquistare un quantitativo di Diamond”
“Di quante pasticche si parla?”
“Tu quante ne hai a disposizione?”
Estefan scoppiò a ridere divertito “Vuoi farmi credere che ha intenzione di accaparrarsi l’intera partita?”
Vince annuì “Ha molti soldi da spendere”
“Davvero credi che mi lascerei infinocchiare? Ha intenzione di fottermi il territorio?” la voce era all’apparenza calma, ma lasciava presagire tempesta “Se è così, stai sprecando il tuo fiato, anzi, rischi anche la pelle, dolcezza, oltre che il culo”
“Non ha intenzione di invadere il tuo territorio, Estefan” spiegò fingendo calma: “la nostra rete si sviluppa in Europa, per la precisione nell’Europa dell’est; Germania, Bulgaria, Ungheria…”
“In Germania ho dei miei agenti, soprattutto a Lipsia e Berlino”
“Che ne diresti di dividere il raggio d’azione? Lui si rifornirebbe delle pasticche di cui ha bisogno, triplicandoti i guadagni e portandoti altri compratori, ma in cambio tu dovrai lasciare a lui i tuoi traffici in Germania”
Estefan lo fissò pensieroso e Vince continuò “Sembra un accordo più che vantaggioso, no? Tu avresti il monopolio di Miami, lui avrebbe quello dell’Europa dell’est”
“Io non ho il monopolio di questa fottuta città, ci sono dei bastardi figli di una cagna che mi contrastano” replicò con rabbia “ma ancora per poco”
“Siamo al corrente anche di questo, ma se accetterai non saranno più un ostacolo. Saranno spazzati via”
“E chi cazzo sarebbe il tuo capo, Attila?” lo prese in giro. La sua proposta appariva ridicola e inverosimile.
“Uno che non va per il sottile, se qualcuno lo intralcia…”
“Mi stai minacciando?” in un attimo Estefan fu su di lui. Pose le mani ai lati della testa e gli si spinse addosso.
Vince poté avvertire l’imponenza del suo corpo massiccio. Cercò di allontanarlo, ma Estefan lo schiacciò maggiormente.
“Vieni a casa mia ed osi anche minacciarmi?” la bocca era talmente vicina alla sua che, se si fosse sporto di un niente, avrebbe potuto baciarlo “Sai che potrei prenderla male?”
“No, non era mia intenzione” balbettò ansimando, la sua vicinanza gli era pressoché insopportabile.
Santiago lo scrutò cercando di capire se stesse mentendo o meno, poi percepì l’erezione contro la coscia e ghignò “Interessante, ma cosa abbiamo qui?”
“Non starmi addosso”
“A me sembra che apprezzi” tolse una mano dal bordo della vasca e l’immerse nell’acqua planando tra le gambe di Vince.
“Cazzo” imprecò scattando.
“Siamo ben equipaggiati, sento” le dita del trafficante solleticarono il membro attraverso la stoffa dell’intimo ormai inconsistente.
“Lasciami”
“Perché dovrei? Me lo hai fatto rizzare” piegò la testa di lato baciandogli il collo “mi piace il tuo sapore”
Vince gemette ed eccitato mormorò qualcosa nella sua lingua natale. Estefan continuò il suo cammino, ma quando le parole gli giunsero alle orecchie, si rese conto di aver compreso cosa volessero dire. Si bloccò stupito, non era mai stato in Germania e di certo, non aveva mai studiato il tedesco. Si chiese come mai fosse possibile.
Vince si accorse del suo turbamento e lo fissò stranito “Che hai? Ti senti male?”
“Sto benissimo” replicò seccato “Dove eravamo? Ah, si” e ricominciò a palpeggiarlo.
Raggiunta la spalla leccò la clavicola. Tornò verso l’alto, mentre con le dita liberava il sesso. Mentre lo masturbava, sussurrò all'orecchio di Vince frasi che infiammarono il giovane tedesco, il quale buttò la testa indietro e allargò le gambe per fornirgli maggiore accesso. Scariche elettriche si propagarono lungo la schiena.
“Datti da fare, dolcezza!” ordinò Estefan aumentando il ritmo.
Vince allungò la mano, posandola sulla punta del membro che fuoriusciva dal costume. Pensò che in piscina aveva avuto una giusta impressione: era davvero molto dotato. Sfiorò il sesso poi preso coraggio, serrò le dita attorno iniziando a dargli piacere.
Estefan gemendo, avvicinò la bocca alla sua e l’accarezzò con la lingua “Ci sai fare, tedesco”
Lo baciò con violenza premendo per entrare, Vince socchiuse le labbra e rispose con altrettanto ardore lasciandosi inebriare da quel sapore latino.
Usò l’altro braccio per attirarlo a sé, poi gli circondò la vita con le gambe. Le mani si mossero frenetiche sui rispettivi sessi fino al raggiungimento del picco.
“Niente male, hai del potenziale” commentò accarezzandogli i capelli madidi di sudore.
“E tu baci da dio, Estefan” sfiorò il pizzetto sotto il mento. In quel momento notò un’anomalia, qualcosa che gli era sfuggito: uno sfregio sotto la bocca “e questo?” puntò con l’indice la cicatrice.
“Non so, dovevo essere piccolo quando mi sono procurato la ferita” tornò a cercare le sue labbra, tirando quello inferiore con i denti “Ho voglia di fotterti”
Vince sgranò gli occhi e s’irrigidì. Non era di certo preparato a una proposta del genere.
“Ti sto prendendo in giro” ridacchiò “Puoi respirare” si scansò per uscire dalla vasca.
“Dove vai?” gli occhi si posarono sul membro. Un neo grosso quando un fagiolo attirò la sua attenzione. L’osservò a lungo, fino a quando il trafficante non ebbe indossato nuovamente l’accappatoio e annodando la cinta.
“L’incontro è terminato”
Vince, ancora in acqua che cercava di riprendersi dall’orgasmo, sospirò.
“Che c’è? Non dirmi che ti ho già sfiancato” lo prese in giro “Tutta qui la resistenza di voi tedeschi?”
“Neanche per idea!” protestò Vince alzandosi a sua volta. I boxer bagnati gli aderivano mostrando la mercanzia.
“Notevole, davvero notevole” commentò Estefan “Asciugati!” ordinò “Josè ti attende qui fuori per riportarti al locale” e voltandosi per uscire si allontanò.
Vince gli corse dietro. Quando lo ebbe raggiunto, gli afferrò un braccio “Non mi hai dato una risposta”
“Dì al tuo capo che ci penserò. È stato un piacere parlare di affari con te”
Vince arrossì e lui gli sfiorò la guancia con il palmo “Sei davvero carino, la prossima volta potremo provare qualcosa di diverso” avvicinò le labbra all’orecchio “significa che ti scoperò fino a quando non cominci ad urlare”
Vince restò senza parole, ma al solo pensiero, il suo sesso ebbe un guizzo.
“Ora, devo andare. Ho un appuntamento molto importante” aprì la porta e uscì.
“Merda” imprecò una volta solo. Raccattò gli abiti e si vestì.
Lo scagnozzo di Santiago aprì la porta “Seguimi!”
Vince obbedì. Bendato fu riportato al locale, dove venne scaricato senza troppe cerimonie.
Prima di sgommare via Josè si sporse dal finestrino “Avrai nostre notizie”
“E come?”
L’altro gli lanciò un piccolo cellulare argentato “Prendi questo. Quando squillerà saprai che il capo vorrà parlarti” e il fuoristrada partì.
Terrorizzato all’idea che il compagno avesse ascoltato quanto successo con Santiago, si portò le mani alle tempie. Sospirando gravemente, guardò intorno la strada era deserta. Di Jan e degli altri nemmeno l’ombra.

giovedì 2 giugno 2011

Galeotto fu il party

Pairing: Gabriel Merz-Jared Leto
Rating: NC17
Questa storia è frutto della mia invenzione e soprattutto della mia mente malata.
Non conosco gli attori o le loro preferenze.
Spero che le Echelon e le fan di Jared non se la prendano a male per questa coppia così inusuale.

Il tappeto rosso era affollato di uomini impettiti nei loro smoking e donne bellissime ingioiellate e strette in abiti attillati. Nonostante fosse elegante nella sua giacca scura, Gabriel Merz si sentiva quasi fuori posto. Non partecipava spesso ad eventi del genere. L’ultimo era stato in occasione delle 1000 puntate della soap Rote rosen. I flash dei fotografi lo sorpresero quasi accecandolo. Quella sera alla Berlinale c’era la premiere della nuova stagione di Alarm fur Cobra 11 alla quale aveva nuovamente partecipato come protagonista di un episodio. Accanto a lui gli altri membri. Tom Beck gli portò un braccio intorno alle spalle per farsi fotografare, poi insieme s’incamminarono verso l’entrata del teatro. Al termine della proiezione tutto il cast venne invitato ad un party esclusivo. Dopo molte resistenze Gabriel si lasciò convincere da Tom ed Erdogan ad andare con loro, ma avrebbe preferito tornarsene a casa a riposare. Quella sera era triste e non aveva molta voglia di divertirsi. La sala era gremita di persone che ballavano al ritmo della musica techno ad un volume tale che era quasi impossibile intraprendere qualunque una conversazione. Il caldo costrinse Gabriel a togliersi la giacca e ad aprire un paio di bottoni della camicia. Sedette al bancone del bar, accanto a qualcuno di cui non poteva vedere il volto, si teneva la testa con le mani. Davanti a lui un bicchierino di tequila.
Gabriel ordinò una birra e sorseggiandola lentamente, si guardò intorno alla ricerca di qualche ragazza con la quale fare conversazione, ma sembravano tutte troppo prese da altri uomini o dalla musica per accorgersi di lui. Sospirando riportò la sua attenzione sulla bottiglia davanti a sé.
“Che c’è amico? Non ti diverti?” sussurrò in inglese il suo vicino allungandosi verso di lui.
Gabriel si voltò e due pozze azzurre lo colpirono mozzandogli il respiro. Quel giovane era di una bellezza travolgente: pelle candida, capelli biondi e occhi eccessivamente truccati.
“Come?” balbettò anche lui nella medesima lingua. Non riusciva a smettere di fissarlo
“Hai l’aria di annoiarti, amico” gli sfiorò il braccio con un dito.
“Non mi piacciono queste feste” rispose: “ma neanche tu sembri sprizzare felicità!”
“Faccio parte della band” alzò le spalle. “Sono costretto a stare qui!”
“La band? Non seguo molto la musica rock, siete famosi?” si pentì della sua domanda quasi immediatamente.
“In effetti, sì. Dove vivi, amico?” lo prese in giro. “Non conosci i 30 Seconds to Mars?
“Scusa, non volevo essere scortese” imbarazzato Gabriel si toccò la nuca.
“Fa niente! Ti perdono perché sei tanto carino” sorrise mostrando una dentatura perfetta.
Gabriel deglutì, quel ragazzo stava cercando di sedurlo e ci stava riuscendo. Si sentì attratto da quel giovane: neanche conosceva il suo nome e già fantasticava su di lui.
“Visto che non mi conosci, mi presento. Io sono Jared, Jared Leto” gli porse la mano: “E tu come ti chiami, begli occhi?”
“Gabriel” gliela strinse indugiando con lo sguardo sulle dita affusolate. “Gabriel Merz”
“Sei spagnolo?” domandò non ravvisando in lui caratteri teutonici.
Gabriel scosse la testa: “Tedesco”
“Tedesco?” strabuzzò gli occhi “Con questa carnagione scura e i lineamenti latini?”
“Non sei il primo che si sorprende”
“Io invece sono americano, vivo tra Los Angeles e New York”
“Wow, non so se riuscirei a stare in città del genere”
“Si può dire che sono cittadino del mondo” svuotò il bicchierino con un solo sorso. “Ti va qualcosa di più serio?” fece una smorfia indicando la birra di Gabriel.
“Che mi proponi?” Gabriel era sempre più eccitato. Dopo Marco, il suo collega in Soko Leizig e anche grande amico, non si era mai sentito così attratto da un altro uomo come in quel momento.
Jared ridacchiò e alzando un braccio ordinò altre due tequila. Non appena il liquido scivolò lungo la gola, Gabriel avvertì le fiamme, che si propagarono fino allo stomaco. “Cazzo!”
Jared scoppiò a ridere “Troppo forte? Io di solito non bevo, ma questa sera ho voglia di non pensare”
“No, è che devo abituarmici” Gabriel tossì.
Divertito Jared si sporse verso di lui. “Tu che lavoro fai?” lo scrutò con interesse.
“L’attore, ma non sono famoso nel nuovo continente”
“Davvero? Anche io”
Guardandolo attentamente, Gabriel ravvisava un volto familiare: “Sì, devo averti visto in qualche film”
“Ne ho girati tanti” alzò le spalle “ma forse mi avrai visto in Alexander, di Oliver Stone” sussurrò.
“Eh?” Gabriel sgranò gli occhi. Cavoli, uno dei miei film preferiti! Ma certo! “Tu…eri Efestion?”
Jared annuì: “In carne ed ossa!”
“Cazzo, amo quel film. Come ho fatto a non riconoscerti” Dopo essere andato al cinema a vedere il film aveva fantasticato su quel macedone per settimane e non riusciva a credere che il suo sogno erotico fosse lì davanti a lui: “Eri il mio personaggio preferito”
“Quanto sei tenero” accorciò la distanza che li separava. “Senti, che ne diresti di…”
Qualcuno gli sferrò una pacca sulla schiena impedendogli di terminare la domanda. Era un giovane con una maglia nera e jeans strappati sulle ginocchia.
“Ehi, Jay, vieni, tocca a noi!” disse il giovane in inglese.
“Merda!” imprecò “Non vedi che sono impegnato, Shan?”
“Muovi il culo, fratellino. Dobbiamo essere sul palco tra tre minuti!”
Gabriel osservò incuriosito lo scambio di battute tra Jared e il nuovo arrivato. Capiva bene l’inglese, ma quei due parlavano troppo veloce e alcune parole non riuscì a comprenderle.
“Che strazio, Shan” sbuffò alzandosi non senza difficoltà dallo sgabello.
L’altro lo sorresse: “Quanto hai bevuto, Jay? Cazzo, devi cantare! Non sei più abituato a bere così!
“Finiscila di rompermi le palle, fratellone!” lo spinse via.
“Te le rompo perché ci tengo a te. Su, andiamo!”
Jared si voltò di nuovo verso Gabriel: “La prima canzone è per te, begli occhi!” e si allontanarono tra la folla senza lasciargli il tempo di terminare la frase.
Gabriel lo fissò incredulo considerando che era la prima volta che gli dedicavano una canzone.
Ridacchiò inorgoglito: “Non ci credo! Ho appena parlato con Efestione ed è anche più bello che nelle mie fantasie”
Un attimo dopo la musica cessò e un uomo calvo salì sul palco per presentare il gruppo dei Thirty seconds to Mars.
Quando Jared apparve, le ragazze urlarono impazzite agitando le braccia in aria. Gabriel si appostò in un angolo strategico dal quale poteva avere una perfetta visuale del giovane. Lo vide afferrare il microfono e salutare la folla che ricambiò con grida scatenate. La risata cristallina di Jared risuonò nella sala, il suo sguardo si spostò, quasi come se stesse cercando qualcuno e quando finalmente si posò su Gabriel sorrise e gli strizzò l’occhio. Gabriel arrossì e ricordò le sue parole: ‘La prima canzone è per te’ poi la musica cominciò.
Immobile, con un sorriso ebete sulle labbra, ascoltò la voce profonda e avvolgente del cantante e il suo modo di dominare il palcoscenico. Un vero leader, pensò. Quando la canzone terminò, si avviò verso l’uscita, pentendosi immediatamente di non aver salutato Jared.
Restò più di mezz’ora in attesa di un taxi. Essendosi recato al Festival con Tom ed Erdogan era a piedi. L’aria era gelida e un leggero nevischio cominciava a bagnargli il volto e i ricci scuri. Si strinse la giacca con le braccia, il vento gli penetrava fin dentro le ossa. Mai quanto in quel momento desiderava il cappuccino bollente di Starbucks.
“Dannazione!” imprecò quando il terzo taxi gli passò davanti senza fermarsi.
“Te ne vai senza salutare?” fece una voce maschile alle sue spalle.
Gabriel si voltò. Jared era a meno di un metro da lui, le braccia incrociate al petto. “Che fai qui fuori? Si gela!” Gabriel notò che il viso era arrossato e le labbra stavano cominciando a diventare viola per il freddo.
“Allora?” l’americano avanzò verso di lui.
“Scusa, sono molto stanco” scrollò la neve dai capelli “e poi, eri sul palco”
“Potrei anche offendermi, sai?” la distanza tra loro era minima.
“Fortuna che non ho trovato un taxi, allora, così ho la possibilità di salutarti” Gabriel resistette a stento alla tentazione di sfiorare il viso delicato, la bocca carnosa e il naso all’insù.
Jared sorrise: “Mi sono rotto di questo party! Vuoi un passaggio?”
Le sue labbra si mossero per accettare. Negli occhi del cantante un lampo.
“Torno subito” Jared si fiondò nel locale tornando qualche secondo più tardi “Andiamo!”
“A piedi?”
“La limousine aspetta la fine dell’esibizione dietro il vicolo, poi lo chiamiamo e lui si ferma davanti all’entrata posteriore, ma mi va di camminare. Ci mettiamo cinque minuti a raggiungerla”
“Okay” Gabriel affondò le mani nelle tasche e s’incamminò al suo fianco.
Quella vicinanza gli provocò uno strano sfarfallio nello stomaco. Jared cominciò a fischiettare, poi gli domandò “Che ti è sembrato il concerto?”
Gabriel si fermò a pochi passi da lui “Ho sentito solo la prima canzone, ma mi è piaciuta molto”
“Te l’ho dedicata, si chiama Hurricane” accorciò la distanza che li separava.
Gabriel arrossì “Pensavo stessi scherzando”
“Pensavi male” allungò una mano e gli sfiorò una guancia.
Gabriel indietreggiò trovandosi bloccato dal muro “Che fai?”
“A te che sembra?” Jared si pressò contro di lui. “Cerco di sedurti”
“Davvero?” piegò la testa di lato. Considerò che il suo approccio schietto e sincero lo intrigava parecchio.
Per tutta risposta Jared lo baciò. Dopo un attimo di smarrimento, l’altro rispose con trasporto. Ribaltò le posizioni tanto che Jared si ritrovò pressato contro il muro. Gabriel gli afferrò le mani portandogliele sopra la testa.
“Così mi piaci” ansimò l’americano mordendogli il mento. “Ero certo che saresti stato selvaggio”
“Selvaggio?” gli occhi erano scuri come braci: “Mi piace” abbassò il viso ad incontrare la sua bocca implorante. Quando si fusero di nuovo, la lava percorse il tedesco scatenando in lui una passione irrefrenabile. Gli liberò le mani, scendendo ad esplorare il suo corpo. Le dita s’insinuarono sotto il giubbino di pelle sfiorandogli il torace. Attraverso il cotone della maglia, giocarono con i capezzoli, poi scesero verso gli addominali scolpiti.
“Non ti fermare!” lo supplicò Jared avvicinandolo maggiormente a sé con circondandogli la vita con una gamba.
Gabriele si lasciò sfuggire un termine volgare nella sua lingua madre e Jared puntò le iridi chiare su di lui: “Ripetilo! Mi arrapa il tedesco. Parlami ancora!”
Lui obbedì sciorinando tutto il suo repertorio. Jared non era il primo uomo con cui stava. Aveva avuto una lunga relazione con Marco Girnth, ma ormai erano anni che tra loro c’era solo un rapporto d’amicizia. In quel momento Gabriel si sentì disarmato, spaventato da ciò che provava.
Jared mosse il bacino per incontrare la sua mano.
Gabriel non era tipo da farsi rimorchiare da uno appena conosciuto, ma in quel momento il suo cervello stentava a formulare pensieri concreti.
“Il mio hotel è a due passi. Possiamo essere a destinazione in cinque minuti!” ansimò.
Gabriel annuì. Jared lo palpeggiò tra le gambe: “Cazzo! Tutta questa mercanzia è per me?” si leccò le labbra.
“Aspetta e vedrai!” si scostò in modo permettendogli di riaggiustarsi i vestiti.
“Vieni! La limo è dietro l’angolo!” Jared lo prese per mano trascinandolo con sé verso l’enorme limousine nera parcheggiata dall’altra parte della strada.
Una volta all’interno, dopo aver impartito gli ordini all’autista, Jared salì in grembo al suo ospite e tornò ad impossessarsi della sua bocca.
Il gusto dell’alcool misto a quello del giovane inebriò Gabriel che si lasciò sfuggire un gemito. Allacciò la lingua alla sua, gustando il sapore deciso, così diverso da quello di una donna, ma ugualmente appetitoso.
Jared spinse il giubbotto giù dalle spalle, armeggiando poi con i bottoni della camicia. Le dita giocherellarono con un ciuffetto di peli: “Amo gli uomini pelosi”
Gabriel insinuò le mani sotto la maglietta accarezzando il ventre piatto e il torace glabro. Quel corpo era la perfezione e rischiava di diventare la sua ossessione. Lo baciò ancora e ancora fino ad esserne ubriaco.
Quando le labbra di Gabriel raggiunsero il collo, l’americano buttò la testa all’indietro: “Vuoi uccidermi?”
La limousine si fermò. Erano arrivati davanti all’hotel.
Jared sbuffò riabbottonandosi i pantaloni: “Ce la fai ad arrivare alla suite?”.
“Tenterò”
Scoppiando a ridere, Jared scese dall’auto attendendolo all’esterno. Dopo essersi aggiustato alla meglio, Gabriel lo seguì nella hall. Mentre Jared chiedeva la chiave della suite, Gabriel si avvicinò all’ascensore. L’ultima cosa che voleva era creare scandali facendosi vedere in compagnia di un attore di Hollywood. L’americano lo raggiunse e quando le porte si spalancarono, lo spinse ad entrare.
Una volta soli, Jared tornò ad assaltargli le labbra, lo desiderava e Gabriel pensò che se non lo avesse fermato avrebbero fatto sesso lì in ascensore. E non era ciò che voleva.
Boccheggiante Gabriel si staccò allontanandolo leggermente: “Non sono abituato a tutto questo, Jared”
“Questo cosa? Un albergo a cinque stelle?”
Scosse la testa: “Andare con uno che ho appena conosciuto”
“Non vuoi più?”
“Mi piaci, Jared. Sei il ragazzo più bello che abbia mai visto”
“Sento che c’è un ma. Cosa ti blocca, dolcezza?”
“Non voglio che sia solo una scopata e via! Mi piaci troppo” ammise Gabriel attendendosi una risata che non giunse.
Jared lo fissò per qualche istante, poi gli prese la mano: “Andiamo”
“Mi hai sentito?”
“Certo che ti ho sentito, Gabriel. Hai intenzione di parlarne in corridoio? Dai, vieni” gli prese la mano conducendolo fino alla loro meta finale.
La suite era talmente lussuosa che Gabriel restò a bocca aperta: due camere, due bagni, un terrazzo dal quale si poteva vedere tutta Berlino e un salotto con divani di pelle e marmi ovunque.
“Cazzo” si lasciò sfuggire in tedesco.
“Ti piace? Sono un tipo eccentrico, mi piace circondarmi di cose belle” si tolse il giubbetto lanciandolo sul divano. “Un goccio?”
“Eh?” il suo inglese era buono, ma quando parlava in quel modo, non lo capiva affatto.
“Vuoi da bere?” si corresse avviandosi verso il bar.
Gabriel annuì e si mosse verso il terrazzo, aprendo la porta finestra scorrevole. Si appoggiò alla ringhiera e un vento gelido lo investì, ma a lui non sembrò importare. Ciò che provava era troppo intenso, aveva bisogno di schiarirsi le idee, di prendere aria.
“Ehi, che fai lì? Ti prenderai un raffreddore” gli circondò la vita con un braccio, appoggiando il mento sulla spalla.
“Sta nevicando” sorride sgrullandosi una spalla. “Mi piace molto la neve”
“Anche a me. Sai, quando posso, scappo a New York, ho un appartamento e dalla finestra dell’attico si vede tutta Manhattan. Uno spettacolo fantastico. Quando nevica, la Grande Mela assume un fascino tutto particolare” sorrise guardando un punto nell’orizzonte: “Devo ammetterlo, adoro New York, l’odore che si respira per le strade, i piccoli caffè, le panetterie aperte all’alba, Central Park, il Village.” la sua aria sognante lo coinvolse.
“Deve essere stupenda” sussurrò.
Jared si rese conto che stava divagando “Scusa, ti sto annoiando”
“Non mi stai annoiando affatto. Da come ne parli, devi amarla molto. Mi fai venire voglia di seguirti a New York”
“Verresti davvero?” gli occhi s’illuminarono.
Quelle parole gli provocarono un brivido di piacere, avrebbe voluto accettare, ma come poteva seguire qualcuno appena conosciuto solo perché lo attraeva da impazzire?
“Dai, entriamo” Jared lo prese per mano attirandolo verso la finestra.
Una volta al caldo, Jared gli porse il bicchiere di whiskey, proponendo un brindisi: “A New York”
“A New York”
Jared avanzò di un passo, poi gli tolse il bicchiere di mano: “Sono felice di essere andato a quel dannato party”
“E come mai?” sussurrò quando fu ad un niente dal suo volto.
“Perché ora sei qui con me, dolcezza” lo spinse sul divano.
“Jared, che fai?” balbettò. “Io non penso che sia una buona idea”
Sedutosi sul suo grembo, il cantante gli appoggiò un dito sulle labbra: “Shhh, lasciati baciare” le bocche si fusero scatenando un fuoco. “Solo un bacio” si spostò sul mento lasciando una scia umida. “Anzi, due o trecento” continuò a scendere lambendogli la gola.
Gabriel ansimò buttando la testa all’indietro e chiudendo gli occhi.
“Sai di buono, mio bel tedesco”
“Ti prego, fermati” lo allontanò.
Jared obbedì controvoglia.
“Non posso fare sesso con te, Jared”
“Mi piaci, Gabriel, più di quanto vorrei. Era da tanto che non mi capitava” non voleva ammetterlo, ma era turbato.
Gabriel lo fissò esterrefatto.
“Sei splendido” con il pollice Jared sfiorò quelle labbra carnose “ e vorrei non dover partire domani”
“Parti domani?” la consapevolezza di poter restare con lui solo poche ore, lo colpì come uno schiaffo in pieno viso.
“Sì, siamo in piena tournée, dolcezza”
“Capisco”
“Sei triste perché parto?” gli occhi chiari brillarono.
“No, è che…” non seppe cosa inventare “un po’ si” ammise infine.
Jared tornò a baciarlo, con dolcezza, lambendo le labbra. Si spostò agli angoli, risalendo verso la guancia. Con le dita, sfiorò la basetta sale e pepe “Quanti anni hai?”
“Trentanove”
“Abbiamo la stessa età, allora” gli scompigliò i ricci.
Gabriel sgranò gli occhi per la sorpresa, a lui era sembrato un ragazzino, invece era sulla soglia dei quaranta. “Non dici sul serio”
Jared ridacchiò “Invece sì, li ho fatti a dicembre”
“Cazzarola. Hai fatto un patto col diavolo come Dorian Grey?”
“Chissà!” slacciò i primi due bottoni della camicia e posò un bacio in mezzo al ciuffetto di peli.
Gabriel gemette “Sei un demonietto”
“Un demonio con il volto d’angelo” Jared non riusciva a tenere le mani apposto, lo toccava ovunque facendolo impazzire di desiderio.
“Jared, fermo!” ad un suo ennesimo attacco, inarcò la schiena.
“Lasciati andare, sei talmente sexy. Non ci posso credere che non hai nessuno”
“Ho rotto da poco” confessò tristemente, ancora ci soffriva per la fine della sua ultima storia d’amore.
“Povero cucciolo, è finita male, eh? Era un lui o una lei?” malizioso cacciò la lingua tra i denti.
“Una lei”
“Stai ancora male, vedo” gli accarezzò la nuca.
Gabriel distolse lo sguardo “Vado avanti. Ora parlami un po’ di te, Jared”
“Chiamami Jay”
“Jay” sussurrò “mi piace”
“A me piaci tu” lo attirò a sé, voleva stringerlo, toccarlo. In sua presenza si sentiva diverso, in pace, come se lo conoscesse da sempre. Con lui sentiva di poter essere se stesso e non come gli altri volevano lui fosse.
“Sei sicuro di essere una rock star?”
Jared scoppiò a ridere “Perché? Credevi che avrei rotto qualcosa o fatto una serata di sesso e droga? Non mi drogo, sono vegetariano e di solito non bevo. Il sesso mi piace e lo pratico spesso”
“Non credo avrai difficoltà a rimorchiare”
“In effetti, no”
Gabriel avvertì un pizzico di gelosia “Io invece non sono abituato a scappatelle di una notte o a sesso con una sconosciuta. Sarò all’antica ma a me piace conoscerle le persone con le quali vado a letto”
“Me lo hai detto che non sei uno facile” ghignò “al contrario del sottoscritto”
“Non intendevo che tu lo sei… non l’ho mai pensato” si scusò.
“Respira, non mi offendo”
“Che idiota sono”
“Sei tenero, invece” e portandogli una mano dietro la nuca lo attirò in un ennesimo bacio. Spinse la lingua all’interno ad incontrare la sua. Si pressò contro di lui divorandogli la bocca fino a quando la mancanza d’aria non li costrinse a separarsi.
“Sarà meglio che vada” Gabriel lo scostò per alzarsi. Riacciuffò il giaccone e si avviò verso la porta. “Scusami, Jay, ma non posso restare”
Colto di sorpresa Jared balbettò “Perché?”
“Mi sono ricordato che…domani devo recarmi ad Amburgo per girare una soap”
Aprì la porta, ma senza varcare la soglia.
L’americano lo seguì fino al piccolo ingresso bloccandolo per un braccio “Neanche un bacio d’addio?”
Gabriel si voltò senza dire nulla.
“Hai così fretta di andartene?” non riusciva a comprendere il suo comportamento.
“No, è che…” si perse nei suoi occhi chiari “mi piaci troppo, Jay! Da impazzire e la cosa mi spaventa”
“Per quale motivo?”
“Non lo so, da tanto non provavo un sentimento del genere per un uomo” arrossì imbarazzato.
“Anche tu mi piaci e stanotte non vorrei separarmi da te”
Gabriel lo fissò incredulo e Jared aggiunse “Resta! Giuro che non attenterò alla tua virtù!”
“Che scemo” si chiuse la porta alle spalle e sorridendo si lasciò condurre nell’altra stanza.
“So essere convincente quando voglio” Jared lo attirò di nuovo verso il divano.