Capitolo VIII
Alex si trovava a Newark dove trascorreva le proprie giornate rinchiuso nella sua stanza d’albergo a piangersi addosso. La relazione con Amber era ormai finita, doveva trovare il coraggio di confessarle che non l’amava più, non poteva continuare a illuderla. Si passò una mano fra i capelli, quei giorni erano stato un inferno lontano da William, tuttavia ciò gli era servito a capire che provava un sentimento veramente profondo per lui, però era troppo tardi, il suo amato lo odiava. Quando lo aveva visto insieme a quel ragazzo dai capelli rossi aveva come perso la ragione e gli aveva sputato in faccia parole dure ferendolo.
Era stato ingiusto, ciononostante non faceva a meno di domandarsi cosa fosse quel giovane per lui, se fosse stato solo un’avventura o qualcosa di più.
Sedeva su una poltrona con una bottiglia di birra in mano, con lo sguardo verso l’unica finestra che dava sulla strada, dalla quale passavano enormi Tir, la tristezza lo stava dilaniando, però non poteva fare nulla per sentirsi meglio. Si voltò verso il cellulare che giaceva abbandonato sul tavolo, tra le bottiglie di Heineken vuote e lo fissò con la vana speranza di udirlo squillare e di vedere il nome di William sul display. Lo strinse in mano, tentato di chiamarlo per chiedergli scusa e domandargli di raggiungerlo, ma dopo un secondo ci rinunciò sentendo di non averne il coraggio. Sospirò e lanciò il cellulare sul letto. No, non doveva pensare più a William, gli faceva troppo male ricordare i suoi baci, il suo sapore, la sua voce, i suoi occhi blu, profondi come l’oceano e le labbra carnose e morbide. Sentì i jeans diventare stretti, come poteva anche il solo ricordo provocargli quelle sensazioni? Si alzò barcollando, la testa gli girava dalla troppa birra, tuttavia non resisteva più in quella camera angusta, doveva uscire.
L’aria della notte era fredda e tagliente, il vento soffiava con forza provocandogli brividi, si strinse addosso il cappotto, era fin troppo gelido per essere solo ottobre, ma servì a schiarirgli la mente annebbiata dall’alcool. Continuò a camminare finché non si fermò davanti ad un pub, sull’insegna c’era scritto “Joe Rocks”. Alzò un sopracciglio nel leggerne il nome, tuttavia dopo tutto quel alcool sentiva l’impellente bisogno di mangiare.
Entrò e un odore di carne arrostita gli solleticò l’appetito, il locale era poco affollato, la luce soffusa, i tavoli circolari erano semi vuoti e in un angolo un vecchio jukebox suonava una vecchia canzone dei Van Halen, invece al bancone un ragazzo sulla ventina, con indosso una maglietta nera con l’effigie di un teschio, era intento a versare la birra in un boccale.
Alex si avvicinò e sedette su un panchetto, non aveva senso prendere un tavolo da solo, lo avrebbe fatto sentire ancora più patetico di quanto non si sentisse già.
Il giovane lo esaminò per qualche istante, poi si avvicinò maggiormente e gli domandò “Cosa le porto?”
“Un hamburger ben cotto e una birra”ordinò puntando le iridi su di lui.
“Lo mangia qui o al tavolo?”
“Qui” rispose con un sospiro.
Lui annuì e si allontanò per portare l’ordinazione in cucina, ma prima gli versò una birra e gliela posò davanti.
“Grazie”mormorò e se la portò alle labbra, bevendone un lungo sorso.
Si voltò e osservò meglio il posto, era abbastanza accogliente, alle pareti foto di gruppi rock e vari cimeli come magliette, chitarre e altre anticaglie.
Un sorriso gli sfuggi dalle labbra, forse non era solo lui ad essere patetico. La musica che risuonava era fastidiosa, non gli era mai piaciuta la musica rock, preferiva altri generi, al contrario William era solito ascoltare dei dischi di gruppi rock e punk inglesi e qualche volta lo avevano fatto insieme. Sorrise pensando come ogni cosa riportasse a lui.
L’arrivo della sua misera cena lo distolse dai pensieri, lo stomaco gli brontolò quando al suo naso arrivò il profumo dell’hamburger e inspirò “Che bontà, ero davvero affamato”
“Siamo famosi per i nostri hamburger al formaggio”gli sorrise il ragazzo “sei forestiero?”
“Sì”l’osservò “sono qui da una settimana, per lavoro”
“Sarebbe?”si appoggiò al bancone, sembrava quasi stesse flirtando con lui, ma Alex era troppo brillo per rendersene conto.
“Io sono ingegnere, il sindaco mi ha affidato il progetto del nuovo centro sportivo”
“Davvero? Devi essere in gamba, allora”commentò “altrimenti il sindaco Forrest non ti avrebbe affidato un progetto così importante”
“Così dicono”abbozzò un sorriso, ma subito dopo gli morì sulle labbra, nell’aria risuonò una melodia che conosceva fin troppo bene: “Bitter sweet symphony” dei The Verve. Immagini di quando l’aveva ascoltata la prima volta gli apparvero davanti agli occhi riportandolo a quel momento.
Si trovava da William, era uno dei primi giorni in cui aveva preso l’abitudine di frequentare la sua casa durante i lunghi pomeriggi che doveva trascorrere da solo a causa dell’assenza di Amber. William era seduto sul divano, gli occhi chiusi e la testa che si muoveva al ritmo della musica che usciva dal suo lettore cd, mentre lui era seduto sul davanzale della finestra e ascoltava senza molto interesse, non gli piaceva quella canzone. Quando terminò, un dolce violino attaccò attirando la sua attenzione, quella sì che gli era gradita. Si avvicinò al lettore da dove prese la custodia e lesse il nome del gruppo “The Verve”mormorò.
“Sono dei grandi”commentò William voltandosi verso di lui “questa canzone è la mia preferita, non trovi che sia dolce e allo stesso tempo intensa e passionale? Ascolta le parole, poi questo pezzo iniziale con il violino, è sensazionale”gli occhi gli brillavano per l’entusiasmo.
“Sì, hai ragione”lo raggiunse e gli sedette accanto, le gambe si sfiorarono e Alex s’irrigidì, c’era qualcosa di diverso in quello che provava standogli solamente vicino.
“Se vuoi, posso prestartelo, magari puoi doppiartelo”gli sorrise.
“Grazie, sei davvero gentile, Will”sussurrò imbarazzato, lo conosceva da pochi giorni, ma si sentiva già molto legato a lui.
“Di niente, è un piacere, Alex”accorciò le distanze.
Il moro fremette e sentì il cuore aumentare i battiti, cosa gli prendeva? Perché non lo allontanava? Perché non gli diceva di smetterla? Le iridi di William erano la cosa più bella che avesse mai visto, sembravano acque limpide nelle quali potersi immergere. Deglutì nervosamente, la situazione era diventata estremamente imbarazzante, la canzone era così coinvolgente che si perse completamente nell’atmosfera che aveva creato.
Posò lo sguardo sulle labbra dell’uomo che gli era accanto, erano socchiuse, sembrava quasi come se volesse dire qualcosa, provò un desiderio irrefrenabile di baciarle, erano così invitanti.
Il cd terminò e tra loro calò un silenzio imbarazzante, William si sporse in avanti, però Alex scattò in piedi e mormorò qualcosa “Devo andare, scusa, ma mi sono ricordato che avevo promesso ad Amber di cucinarle l’arrosto”
Il biondo sospirò e annuì “Certo, ti lascio andare, non dimenticare il cd”lo tolse dal lettore, lo ripose nella custodia e glielo porse.
“Grazie”le loro dita si sfiorarono, quelle di William erano calde, invece quelle di Alex erano gelide per il nervosismo.
“Hai freddo?”gli domandò corrugando la fronte “Sei gelato”
“Sì, un po’, ora vado”e si avviò verso l’uscita.
Da quel giorno, quella canzone risuonò nello scantinato, facendogli compagnia e ricordandogli i momenti trascorsi con William.
Alex ritornò al presente, la canzone dei Verve risuonava in tutto il locale, strinse i pugni, non voleva ascoltarla, era troppo doloroso.
Scattò in piedi e si diresse verso il jukebox e cercò di cambiare canzone senza grande successo. Premette con forza il pulsante, cominciò a colpire con un pugno, ma non si sbloccò.
“Ehi”urlò il barista da dietro il bancone “che cazzo fai?”
“Cambia”sbraitò colpendo il vetro con un pugno “non voglio sentirla!”
“Ehi, datti una calmata, amico”lo raggiunse con gli occhi fuori dalle orbite, gli stava distruggendo il jukebox e quello era un pezzo raro “lo sai quanto costa, brutto idiota?”cercò di bloccarlo.
“Non mi interessa, fai terminare questa canzone”replicò divincolandosi “o ci penserò io”
“È meglio che te ne vada, sei troppo giù di giri per i miei gusti”lo afferrò per un braccio e cercò di spingerlo verso l’uscita, ma Alex si liberò e afferrò una sedia deciso a romperla su quell’aggeggio per lui infernale.
“No, non osare”gridò il giovane sconvolto al pensiero dei danni che avrebbe potuto procurare.
Due uomini seduti ad un tavolo intervennero e lo bloccarono per entrambe le braccia facendo cadere la sedia sul pavimento. Fu trascinato verso un tavolo “Lasciatemi”si divincolò, ma nella foga di liberarsi colpì con un pugno un boccale che si trovava su un tavolo e lo ruppe ferendosi una mano “Cazzo”imprecò provando dolore e vedendo il sangue che colava sul legno.
“Merda”mormorò uno dei due uomini, un tipo grosso con una coda di cavallo e gli occhi piccoli e ravvicinati “Prendete qualcosa per fermare il sangue”
Il giovane barman gli porse un asciugamano che fu tamponato sulla ferita, poi si diresse verso il telefono e compose il 911.
La canzone terminò, Alex sedette su una sedia stringendo l’asciugamano sulla ferita, era ormai calmo, ma i due uomini continuarono a tenerlo d’occhio per evitare altri problemi fino a quando non giunse la polizia che lo portò via.
William ripensò agli avvenimenti di quella giornata così movimentata, Ian si era presentato a casa sua dichiarandogli il suo amore e Amber gli aveva dato la notizia scioccante che Alex era partito. Sospirò pensando a lui e a dove potesse trovarsi in quel momento. Gli mancava da morire e desiderava confessarglielo, ormai era stanco di reprimere quello che provava.
In quel momento nella stanza risuonò una melodia, si guardò intorno, da dove veniva? Si alzò, sembrava la suoneria di un cellulare, ma non era di certo la sua.
Cercò tra i cuscini del divano, era vicina, infilò la mano sotto un cuscino della poltrona e lo trovò. Era un piccolo cellulare rosa, doveva averlo lasciato Amber quello stesso pomeriggio.
Guardò il display e fremette, si trattava di Alex, stava telefonando ad Amber, si morse un labbro, questo significava che non erano così in rotta come lei temeva. Fece un profondo respiro e rispose “Pronto, Alex?”
Dall’altra parte della linea sentì un gemito “Will?”
“Alex”la voce era ansiosa, desiderava chiedergli di tornare.
“Perché rispondi tu al telefono di Amber? Cosa succede? Dov’è?”
“In ospedale, credo. Lo ha dimenticato qui quando è venuta oggi”gli spiegò.
“Perché è venuta da te?”era sospettoso, poté percepire un velo di gelosia.
“Storia lunga, mi ha mostrato la poesia”
“Ah”mormorò.
Calò il silenzio. William strinse le labbra, non voleva lo sapesse, ma non si sarebbe arreso così facilmente “Alex? Dimmi dove sei, ti prego”insistette.
“Sono in prigione, Will”rispose “a Newark”
“Cosa?”sgranò gli occhi “In prigione? Alex, cosa hai combinato?”
“Lascia perdere, puoi avvertire Amber e chiederle di venire a tirarmi fuori?”gli domandò.
“Vengo io, piccolo, dimmi dove sei e arrivo”dichiarò senza esitazione “Amber è in ospedale e non saprei come avvertirla e poi, è troppo lontana, vengo io”
“Vieni tu?”era titubante “Non so se…”balbettò incerto.
“Sì, non posso lasciarti in quel posto, vengo a prenderti, Ti prego, Alex, so che sei arrabbiato con me, però lasciati aiutare”
“Va bene”sospirò rassegnato, sapeva che non gli avrebbe fatto cambiare idea.
William sorrise e riattaccò, il cuore sembrò esplodergli nel petto. Prese il portafogli, probabilmente, sarebbero serviti molti soldi, poi afferrò la giacca e le chiavi della macchina e uscì.
Si precipitò in macchina e partì, non poteva perdere neanche un istante, Alex era in prigione con chissà quale delinquente e solo il pensiero lo terrorizzava.
Giunse a Newark in poco tempo, in fondo, era una cittadina vicina, Alex non si era allontanato di molto. Parcheggiò davanti alla stazione di polizia e si precipitò all’interno. Lo informarono che il giovane era stato arrestato per ubriachezza molesta e per aver semidistrutto un locale, perciò se voleva trarlo fuori da lì avrebbe dovuto pagare una cauzione. Quelle dichiarazioni lo sconvolsero, non era da Alex comportarsi in quel modo, forse erano stati i problemi con Amber a portarlo a bere. Pagò la cauzione e attese con il cuore in gola.
Finalmente, dopo un’attesa che a William apparve interminabile, Alex apparve, sulla soglia. Il suo aspetto era spaventoso, gli occhi rossi e gonfi, una mano fasciata e i capelli spettinati, la camicia era semistrappata.
William sgranò gli occhi e si lasciò sfuggire un gemito. Era stato in cella poche ore, eppure sembrava ci avesse passato giorni interi. Nel momento in cui i loro sguardi s’incrociarono niente ebbe più importanza, gli andò incontro e lo abbracciò “Alex, finalmente”sospirò stringendolo “non puoi capire quanto sono stato in ansia”
“Will”s’irrigidì, poi sopraffatto dalla felicità di rivederlo ricambiò l’abbraccio affondando il volto nel suo collo “scusami per averti costretto a venire”
“Non dirlo neanche per scherzo, non avrei mai potuto lasciarti in questo posto” lo esaminò con attenzione e aggiunse preoccupato “Cosa è accaduto alla mano?”
“Niente, ho rotto un boccale di birra, ma mi hanno medicato, non mi fa più male” cercò di rassicurarlo.
“È grave? Lasciami vedere”cercò di prendergli la mano, ma lui l’allontanò, sentiva su di loro tutti gli sguardi dei poliziotti presenti “Possiamo solo andare via?”lo supplicò quasi.
“Certo, ho sistemato tutto”
“Ti restituisco i soldi quando arriviamo a casa, Will”gli promise.
“Non pensarci ora, andiamo”e lo trascinò via senza curarsi delle occhiate del poliziotto che si trovava dietro la scrivania.
Una volta in auto, William non accese il motore, si voltò verso di lui e gli domandò “Cosa è accaduto? Mi hanno detto che hai distrutto qualcosa in un locale. E questa?”gli sfiorò la mano fasciata.
Alex ritrasse la mano e con voce gelida rispose “Te l’ho detto, ho colpito un bicchiere, anzi era un boccale, si è rotto e il vetro mi ha ferito”l’ultima cosa che voleva era rivelargli la verità “Avevo bevuto”
“Perché?”
Il giovane non rispose e William sospirò “Alex, perché non vuoi confidarti con me?”
“Lascia perdere, Will, in fondo, non sono affari tuoi”
A quelle parole fremette e si irrigidì “Lo merito per il modo in cui ti ho trattato, scusami per averti detto quelle cose, non le pensavo”
“Davvero?”era scettico.
“Certo che no, lo sai quello che provo per te e quando ho saputo che eri in prigione non pensavo altro che a raggiungerti per tirarti fuori”
“Avresti dovuto lasciarmi lì, lo avrei meritato”
“Non dirlo neanche per scherzo”gli occhi divennero di ghiaccio nel sentirlo parlare in quel modo
“Lo so”
William si voltò verso Alex “Davvero?”
“Sì, altrimenti non saresti qui, con me”negli occhi una strana luce.
I due si fissarono per qualche istante, poi William mormorò “Andiamo, hai bisogno di dormire, dove alloggi?”
“Parker hotel, non è molto lontano”
Annuì e mise in moto l’auto.
Alex si trovava a Newark dove trascorreva le proprie giornate rinchiuso nella sua stanza d’albergo a piangersi addosso. La relazione con Amber era ormai finita, doveva trovare il coraggio di confessarle che non l’amava più, non poteva continuare a illuderla. Si passò una mano fra i capelli, quei giorni erano stato un inferno lontano da William, tuttavia ciò gli era servito a capire che provava un sentimento veramente profondo per lui, però era troppo tardi, il suo amato lo odiava. Quando lo aveva visto insieme a quel ragazzo dai capelli rossi aveva come perso la ragione e gli aveva sputato in faccia parole dure ferendolo.
Era stato ingiusto, ciononostante non faceva a meno di domandarsi cosa fosse quel giovane per lui, se fosse stato solo un’avventura o qualcosa di più.
Sedeva su una poltrona con una bottiglia di birra in mano, con lo sguardo verso l’unica finestra che dava sulla strada, dalla quale passavano enormi Tir, la tristezza lo stava dilaniando, però non poteva fare nulla per sentirsi meglio. Si voltò verso il cellulare che giaceva abbandonato sul tavolo, tra le bottiglie di Heineken vuote e lo fissò con la vana speranza di udirlo squillare e di vedere il nome di William sul display. Lo strinse in mano, tentato di chiamarlo per chiedergli scusa e domandargli di raggiungerlo, ma dopo un secondo ci rinunciò sentendo di non averne il coraggio. Sospirò e lanciò il cellulare sul letto. No, non doveva pensare più a William, gli faceva troppo male ricordare i suoi baci, il suo sapore, la sua voce, i suoi occhi blu, profondi come l’oceano e le labbra carnose e morbide. Sentì i jeans diventare stretti, come poteva anche il solo ricordo provocargli quelle sensazioni? Si alzò barcollando, la testa gli girava dalla troppa birra, tuttavia non resisteva più in quella camera angusta, doveva uscire.
L’aria della notte era fredda e tagliente, il vento soffiava con forza provocandogli brividi, si strinse addosso il cappotto, era fin troppo gelido per essere solo ottobre, ma servì a schiarirgli la mente annebbiata dall’alcool. Continuò a camminare finché non si fermò davanti ad un pub, sull’insegna c’era scritto “Joe Rocks”. Alzò un sopracciglio nel leggerne il nome, tuttavia dopo tutto quel alcool sentiva l’impellente bisogno di mangiare.
Entrò e un odore di carne arrostita gli solleticò l’appetito, il locale era poco affollato, la luce soffusa, i tavoli circolari erano semi vuoti e in un angolo un vecchio jukebox suonava una vecchia canzone dei Van Halen, invece al bancone un ragazzo sulla ventina, con indosso una maglietta nera con l’effigie di un teschio, era intento a versare la birra in un boccale.
Alex si avvicinò e sedette su un panchetto, non aveva senso prendere un tavolo da solo, lo avrebbe fatto sentire ancora più patetico di quanto non si sentisse già.
Il giovane lo esaminò per qualche istante, poi si avvicinò maggiormente e gli domandò “Cosa le porto?”
“Un hamburger ben cotto e una birra”ordinò puntando le iridi su di lui.
“Lo mangia qui o al tavolo?”
“Qui” rispose con un sospiro.
Lui annuì e si allontanò per portare l’ordinazione in cucina, ma prima gli versò una birra e gliela posò davanti.
“Grazie”mormorò e se la portò alle labbra, bevendone un lungo sorso.
Si voltò e osservò meglio il posto, era abbastanza accogliente, alle pareti foto di gruppi rock e vari cimeli come magliette, chitarre e altre anticaglie.
Un sorriso gli sfuggi dalle labbra, forse non era solo lui ad essere patetico. La musica che risuonava era fastidiosa, non gli era mai piaciuta la musica rock, preferiva altri generi, al contrario William era solito ascoltare dei dischi di gruppi rock e punk inglesi e qualche volta lo avevano fatto insieme. Sorrise pensando come ogni cosa riportasse a lui.
L’arrivo della sua misera cena lo distolse dai pensieri, lo stomaco gli brontolò quando al suo naso arrivò il profumo dell’hamburger e inspirò “Che bontà, ero davvero affamato”
“Siamo famosi per i nostri hamburger al formaggio”gli sorrise il ragazzo “sei forestiero?”
“Sì”l’osservò “sono qui da una settimana, per lavoro”
“Sarebbe?”si appoggiò al bancone, sembrava quasi stesse flirtando con lui, ma Alex era troppo brillo per rendersene conto.
“Io sono ingegnere, il sindaco mi ha affidato il progetto del nuovo centro sportivo”
“Davvero? Devi essere in gamba, allora”commentò “altrimenti il sindaco Forrest non ti avrebbe affidato un progetto così importante”
“Così dicono”abbozzò un sorriso, ma subito dopo gli morì sulle labbra, nell’aria risuonò una melodia che conosceva fin troppo bene: “Bitter sweet symphony” dei The Verve. Immagini di quando l’aveva ascoltata la prima volta gli apparvero davanti agli occhi riportandolo a quel momento.
Si trovava da William, era uno dei primi giorni in cui aveva preso l’abitudine di frequentare la sua casa durante i lunghi pomeriggi che doveva trascorrere da solo a causa dell’assenza di Amber. William era seduto sul divano, gli occhi chiusi e la testa che si muoveva al ritmo della musica che usciva dal suo lettore cd, mentre lui era seduto sul davanzale della finestra e ascoltava senza molto interesse, non gli piaceva quella canzone. Quando terminò, un dolce violino attaccò attirando la sua attenzione, quella sì che gli era gradita. Si avvicinò al lettore da dove prese la custodia e lesse il nome del gruppo “The Verve”mormorò.
“Sono dei grandi”commentò William voltandosi verso di lui “questa canzone è la mia preferita, non trovi che sia dolce e allo stesso tempo intensa e passionale? Ascolta le parole, poi questo pezzo iniziale con il violino, è sensazionale”gli occhi gli brillavano per l’entusiasmo.
“Sì, hai ragione”lo raggiunse e gli sedette accanto, le gambe si sfiorarono e Alex s’irrigidì, c’era qualcosa di diverso in quello che provava standogli solamente vicino.
“Se vuoi, posso prestartelo, magari puoi doppiartelo”gli sorrise.
“Grazie, sei davvero gentile, Will”sussurrò imbarazzato, lo conosceva da pochi giorni, ma si sentiva già molto legato a lui.
“Di niente, è un piacere, Alex”accorciò le distanze.
Il moro fremette e sentì il cuore aumentare i battiti, cosa gli prendeva? Perché non lo allontanava? Perché non gli diceva di smetterla? Le iridi di William erano la cosa più bella che avesse mai visto, sembravano acque limpide nelle quali potersi immergere. Deglutì nervosamente, la situazione era diventata estremamente imbarazzante, la canzone era così coinvolgente che si perse completamente nell’atmosfera che aveva creato.
Posò lo sguardo sulle labbra dell’uomo che gli era accanto, erano socchiuse, sembrava quasi come se volesse dire qualcosa, provò un desiderio irrefrenabile di baciarle, erano così invitanti.
Il cd terminò e tra loro calò un silenzio imbarazzante, William si sporse in avanti, però Alex scattò in piedi e mormorò qualcosa “Devo andare, scusa, ma mi sono ricordato che avevo promesso ad Amber di cucinarle l’arrosto”
Il biondo sospirò e annuì “Certo, ti lascio andare, non dimenticare il cd”lo tolse dal lettore, lo ripose nella custodia e glielo porse.
“Grazie”le loro dita si sfiorarono, quelle di William erano calde, invece quelle di Alex erano gelide per il nervosismo.
“Hai freddo?”gli domandò corrugando la fronte “Sei gelato”
“Sì, un po’, ora vado”e si avviò verso l’uscita.
Da quel giorno, quella canzone risuonò nello scantinato, facendogli compagnia e ricordandogli i momenti trascorsi con William.
Alex ritornò al presente, la canzone dei Verve risuonava in tutto il locale, strinse i pugni, non voleva ascoltarla, era troppo doloroso.
Scattò in piedi e si diresse verso il jukebox e cercò di cambiare canzone senza grande successo. Premette con forza il pulsante, cominciò a colpire con un pugno, ma non si sbloccò.
“Ehi”urlò il barista da dietro il bancone “che cazzo fai?”
“Cambia”sbraitò colpendo il vetro con un pugno “non voglio sentirla!”
“Ehi, datti una calmata, amico”lo raggiunse con gli occhi fuori dalle orbite, gli stava distruggendo il jukebox e quello era un pezzo raro “lo sai quanto costa, brutto idiota?”cercò di bloccarlo.
“Non mi interessa, fai terminare questa canzone”replicò divincolandosi “o ci penserò io”
“È meglio che te ne vada, sei troppo giù di giri per i miei gusti”lo afferrò per un braccio e cercò di spingerlo verso l’uscita, ma Alex si liberò e afferrò una sedia deciso a romperla su quell’aggeggio per lui infernale.
“No, non osare”gridò il giovane sconvolto al pensiero dei danni che avrebbe potuto procurare.
Due uomini seduti ad un tavolo intervennero e lo bloccarono per entrambe le braccia facendo cadere la sedia sul pavimento. Fu trascinato verso un tavolo “Lasciatemi”si divincolò, ma nella foga di liberarsi colpì con un pugno un boccale che si trovava su un tavolo e lo ruppe ferendosi una mano “Cazzo”imprecò provando dolore e vedendo il sangue che colava sul legno.
“Merda”mormorò uno dei due uomini, un tipo grosso con una coda di cavallo e gli occhi piccoli e ravvicinati “Prendete qualcosa per fermare il sangue”
Il giovane barman gli porse un asciugamano che fu tamponato sulla ferita, poi si diresse verso il telefono e compose il 911.
La canzone terminò, Alex sedette su una sedia stringendo l’asciugamano sulla ferita, era ormai calmo, ma i due uomini continuarono a tenerlo d’occhio per evitare altri problemi fino a quando non giunse la polizia che lo portò via.
William ripensò agli avvenimenti di quella giornata così movimentata, Ian si era presentato a casa sua dichiarandogli il suo amore e Amber gli aveva dato la notizia scioccante che Alex era partito. Sospirò pensando a lui e a dove potesse trovarsi in quel momento. Gli mancava da morire e desiderava confessarglielo, ormai era stanco di reprimere quello che provava.
In quel momento nella stanza risuonò una melodia, si guardò intorno, da dove veniva? Si alzò, sembrava la suoneria di un cellulare, ma non era di certo la sua.
Cercò tra i cuscini del divano, era vicina, infilò la mano sotto un cuscino della poltrona e lo trovò. Era un piccolo cellulare rosa, doveva averlo lasciato Amber quello stesso pomeriggio.
Guardò il display e fremette, si trattava di Alex, stava telefonando ad Amber, si morse un labbro, questo significava che non erano così in rotta come lei temeva. Fece un profondo respiro e rispose “Pronto, Alex?”
Dall’altra parte della linea sentì un gemito “Will?”
“Alex”la voce era ansiosa, desiderava chiedergli di tornare.
“Perché rispondi tu al telefono di Amber? Cosa succede? Dov’è?”
“In ospedale, credo. Lo ha dimenticato qui quando è venuta oggi”gli spiegò.
“Perché è venuta da te?”era sospettoso, poté percepire un velo di gelosia.
“Storia lunga, mi ha mostrato la poesia”
“Ah”mormorò.
Calò il silenzio. William strinse le labbra, non voleva lo sapesse, ma non si sarebbe arreso così facilmente “Alex? Dimmi dove sei, ti prego”insistette.
“Sono in prigione, Will”rispose “a Newark”
“Cosa?”sgranò gli occhi “In prigione? Alex, cosa hai combinato?”
“Lascia perdere, puoi avvertire Amber e chiederle di venire a tirarmi fuori?”gli domandò.
“Vengo io, piccolo, dimmi dove sei e arrivo”dichiarò senza esitazione “Amber è in ospedale e non saprei come avvertirla e poi, è troppo lontana, vengo io”
“Vieni tu?”era titubante “Non so se…”balbettò incerto.
“Sì, non posso lasciarti in quel posto, vengo a prenderti, Ti prego, Alex, so che sei arrabbiato con me, però lasciati aiutare”
“Va bene”sospirò rassegnato, sapeva che non gli avrebbe fatto cambiare idea.
William sorrise e riattaccò, il cuore sembrò esplodergli nel petto. Prese il portafogli, probabilmente, sarebbero serviti molti soldi, poi afferrò la giacca e le chiavi della macchina e uscì.
Si precipitò in macchina e partì, non poteva perdere neanche un istante, Alex era in prigione con chissà quale delinquente e solo il pensiero lo terrorizzava.
Giunse a Newark in poco tempo, in fondo, era una cittadina vicina, Alex non si era allontanato di molto. Parcheggiò davanti alla stazione di polizia e si precipitò all’interno. Lo informarono che il giovane era stato arrestato per ubriachezza molesta e per aver semidistrutto un locale, perciò se voleva trarlo fuori da lì avrebbe dovuto pagare una cauzione. Quelle dichiarazioni lo sconvolsero, non era da Alex comportarsi in quel modo, forse erano stati i problemi con Amber a portarlo a bere. Pagò la cauzione e attese con il cuore in gola.
Finalmente, dopo un’attesa che a William apparve interminabile, Alex apparve, sulla soglia. Il suo aspetto era spaventoso, gli occhi rossi e gonfi, una mano fasciata e i capelli spettinati, la camicia era semistrappata.
William sgranò gli occhi e si lasciò sfuggire un gemito. Era stato in cella poche ore, eppure sembrava ci avesse passato giorni interi. Nel momento in cui i loro sguardi s’incrociarono niente ebbe più importanza, gli andò incontro e lo abbracciò “Alex, finalmente”sospirò stringendolo “non puoi capire quanto sono stato in ansia”
“Will”s’irrigidì, poi sopraffatto dalla felicità di rivederlo ricambiò l’abbraccio affondando il volto nel suo collo “scusami per averti costretto a venire”
“Non dirlo neanche per scherzo, non avrei mai potuto lasciarti in questo posto” lo esaminò con attenzione e aggiunse preoccupato “Cosa è accaduto alla mano?”
“Niente, ho rotto un boccale di birra, ma mi hanno medicato, non mi fa più male” cercò di rassicurarlo.
“È grave? Lasciami vedere”cercò di prendergli la mano, ma lui l’allontanò, sentiva su di loro tutti gli sguardi dei poliziotti presenti “Possiamo solo andare via?”lo supplicò quasi.
“Certo, ho sistemato tutto”
“Ti restituisco i soldi quando arriviamo a casa, Will”gli promise.
“Non pensarci ora, andiamo”e lo trascinò via senza curarsi delle occhiate del poliziotto che si trovava dietro la scrivania.
Una volta in auto, William non accese il motore, si voltò verso di lui e gli domandò “Cosa è accaduto? Mi hanno detto che hai distrutto qualcosa in un locale. E questa?”gli sfiorò la mano fasciata.
Alex ritrasse la mano e con voce gelida rispose “Te l’ho detto, ho colpito un bicchiere, anzi era un boccale, si è rotto e il vetro mi ha ferito”l’ultima cosa che voleva era rivelargli la verità “Avevo bevuto”
“Perché?”
Il giovane non rispose e William sospirò “Alex, perché non vuoi confidarti con me?”
“Lascia perdere, Will, in fondo, non sono affari tuoi”
A quelle parole fremette e si irrigidì “Lo merito per il modo in cui ti ho trattato, scusami per averti detto quelle cose, non le pensavo”
“Davvero?”era scettico.
“Certo che no, lo sai quello che provo per te e quando ho saputo che eri in prigione non pensavo altro che a raggiungerti per tirarti fuori”
“Avresti dovuto lasciarmi lì, lo avrei meritato”
“Non dirlo neanche per scherzo”gli occhi divennero di ghiaccio nel sentirlo parlare in quel modo
“Lo so”
William si voltò verso Alex “Davvero?”
“Sì, altrimenti non saresti qui, con me”negli occhi una strana luce.
I due si fissarono per qualche istante, poi William mormorò “Andiamo, hai bisogno di dormire, dove alloggi?”
“Parker hotel, non è molto lontano”
Annuì e mise in moto l’auto.
1 commento:
Bello, bello! Ora Will ha tirato fuori Alex dalla gattabuia, mhh... adoro quando Alex fa il geloso!XD
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