lunedì 2 febbraio 2009

Il poeta della porta accanto capitolo 8

Alex si trovava a Newark, trascorreva le sue giornate rinchiuso nella sua stanza d’albergo a pensare e a piangersi addosso. La relazione con Amber era ormai giunta al capolinea, non l’amava più come prima e non poteva continuare a stare con lei e illuderla. Era innamorato di William e quei giorni lontano da lui erano stati un vero inferno, purtroppo si era reso conto troppo tardi di quello che provava e, a giudicare da come si erano lasciati l’ultima volta, non aveva alcuna speranza. Lo aveva ferito, gli aveva letto il dolore negli occhi William e ora doveva detestarlo. Si era pentito immediatamente delle cose che gli aveva riversato contro, era stato ingiusto, ma vedere il suo atteggiamento intimo con quel ragazzo dai capelli rossi non lo aveva fatto ragionare. Non faceva che domandarsi cosa fosse per lui quel giovane. Era stato solo un’avventura o c’era di più?
Sedeva su una poltrona, nella sua camera d’albergo, con una bottiglia di birra in mano e lo sguardo verso l’unica finestra che dava sulla strada, dalla quale passavano enormi Tir, la tristezza lo stava dilaniando, ma non poteva fare nulla per sentirsi meglio. Si voltò verso il cellulare che giaceva abbandonato sul tavolo, tra le bottiglie di Heineken vuote e lo fissò, erano tre giorni che sperava invano di udirlo suonare e di vedere il suo nome sul display, ma non era accaduto. Lo strinse in mano, tentato di chiamarlo per chiedergli scusa e domandargli di raggiungerlo, ma poi rinunciò, non ne aveva il coraggio. Sospirò e lanciò il cellulare sul letto. No, non poteva farlo, non doveva pensare più a William. Gli faceva troppo male ricordare i suoi baci, il suo sapore, la sua voce, i suoi occhi blu, profondi come l’oceano e le labbra carnose e morbide. Sentì i jeans diventare stretti, come poteva anche il solo ricordo provocargli quelle sensazioni? Si alzò barcollando, la testa gli girava, aveva bevuto troppo, ma non resisteva più in quella camera angusta, doveva uscire.
L’aria della notte era fredda e tagliente, il vento soffiò con forza provocandogli un brivido, si strinse addosso il cappotto, era fin troppo gelido per essere solo ottobre, ma gli faceva bene, gli schiariva la mente annebbiata dall’alcool. Continuò a camminare fino a quando non si fermò davanti ad un pub, sull’insegna c’era scritto “Joe Rocks”. Alzò un sopracciglio nel leggere il nome, ma aveva troppa fame, dopo tutte quelle birre che aveva ingurgitato.
Entrò e un odore di carne arrostita gli solleticò l’appetito, il locale era poco affollato, la luce soffusa, i tavoli circolari erano semi vuoti e in un angolo, un vecchio jukebox suonava una vecchia canzone dei Van Halen, mentre al bancone un ragazzo sulla trentina, con indosso una maglietta nera con l’effigie di un teschio, era intento a versare la birra in un boccale.
Alex si avvicinò e sedette su un panchetto, non aveva senso prendere un tavolo da solo, lo avrebbe fatto sentire ancora più patetico di quanto non si sentisse già.
Il giovane lo guardò per qualche istante, poi si avvicinò maggiormente e gli domandò “Cosa le porto?”
“Un hamburger ben cotto e una birra”rispose puntando le iridi su di lui.
“Lo mangia qui o al tavolo?”
“Qui”rispose con un sospiro.
Lui annuì e si allontanò per portare l’ordinazione in cucina, ma prima gli versò una birra e gliela posò davanti.
“Grazie”mormorò e se la portò alle labbra, bevendone un lungo sorso.
Si voltò e osservò meglio il posto, era abbastanza accogliente, alle pareti foto di gruppi rock e vari cimeli come magliette, chitarre e altre anticaglie. Un sorriso gli sfuggi dalle labbra, forse non era solo lui ad essere patetico. La musica che risuonava era fastidiosa, non gli era mai piaciuta la musica rock, preferiva altri generi, ma William era solito ascoltare dei dischi di gruppi rock e punk inglesi e qualche volta lo avevano fatto insieme. Sorrise, pensando a come ogni cosa riportasse a lui.
L’arrivo della sua ordinazione lo distolse dai suoi pensieri, lo stomaco gli brontolò quando al suo naso arrivò il profumo dell’hamburger e inspirò “Che bontà, ero davvero affamato”
“Siamo famosi per i nostri hamburger al formaggio”gli sorrise il ragazzo “sei forestiero?”
“Sì”l’osservò “sono qui da un paio di giorni per lavoro”
“Sarebbe?”si appoggiò al bancone, sembrava quasi stesse flirtando con lui, ma Alex era troppo brillo per rendersene conto.
“L’ingegnere, il sindaco mi ha affidato il progetto del nuovo centro sportivo”
“Davvero? Devi essere in gamba, allora”commentò “altrimenti il sindaco Forrest on ti avrebbe affidato un progetto così importante”
“Così dicono”abbozzò un sorriso, ma subito dopo gli morì sulle labbra, nell’aria risuonò una melodia che conosceva fin troppo bene, Bitter sweet symphony dei The Verve. Immagini di quando l’aveva ascoltata la prima volta gli apparvero davanti agli occhi riportandolo a quel momento.

Si trovava a casa di William, era uno dei primi giorni in cui aveva preso l’abitudine di frequentare la sua casa durante i lunghi pomeriggi che doveva trascorrere da solo a causa dell’assenza di Amber. William era seduto sul divano, gli occhi chiusi e la testa che si muoveva al ritmo della sinfonia che usciva dal suo lettore cd, mentre lui era appoggiato alla finestra e ascoltava senza molto interesse non gli piaceva quella canzone. Quando terminò, un dolce violino attaccò attirando la sua attenzione quella sì che gli piaceva. Si avvicinò al lettore e prese la custodia e lesse il nome del gruppo “The Verve”mormorò.
“Sono dei grandi”commentò William voltandosi verso di lui “questa canzone è la mia preferita, non trovi che sia dolce e allo stesso tempo intensa e passionale? Ascolta le parole, poi questo pezzo iniziale con il violino, è sensazionale”gli occhi gli brillavano per l’entusiasmo.
“Sì, hai ragione”lo raggiunse e gli sedette accanto, le gambe si sfiorarono e Alex s’irrigidì, c’era qualcosa di diverso in quello che provava quando gli era vicino.
“Se vuoi, posso prestartelo, magari doppiartelo”gli sorrise.
“Grazie, sei davvero gentile, Will”sussurrò imbarazzato, lo conosceva da pochi giorni, ma si sentiva già molto vicino a lui.
“Di niente, è un piacere, Alex”accorciò le distanze.
Il moro fremette, era dalla sera della cena a casa sua che William era strano, che sembrava cercasse di sedurlo, ma non aveva avuto delle certezze, almeno fino a quel momento, quando gli sfiorò la mano con la sua come se volesse accarezzargli le dita.
Alex sentì il cuore aumentare i battiti, ma cosa gli prendeva? Perché non lo allontanava? Perché non gli diceva di smetterla? Le iridi di William erano la cosa più bella che avesse mai visto, sembravano acque limpide nelle quali potersi immergere. Deglutì nervosamente, la situazione era diventata estremamente imbarazzante, la canzone era così coinvolgente che si perse completamente nell’atmosfera che aveva creato. Posò lo sguardo sulle labbra dell’uomo che gli era accanto, erano socchiuse, sembrava quasi come se volesse dire qualcosa, provò un desiderio irrefrenabile di baciarle, erano così invitanti. Il cd terminò e tra loro calò un silenzio imbarazzante, William si sporse in avanti, ma Alex scattò in piedi e mormorò qualcosa “Devo andare, scusa, ma mi sono ricordato che avevo promesso ad Amber di cucinarle l’arrosto”
Il biondo sospirò e annuì “Certo, ti lascio andare, ma non dimenticare il cd”lo tolse dal lettore, lo ripose nella custodia e glielo porse.
“Grazie”le loro dita si sfiorarono, quelle di William erano calde, mentre quelle di Alex erano gelide per il nervosismo.
“Hai freddo?”gli domandò corrugando la fronte “Sei gelato”
“Sì, un po’, ora vado”e si avviò verso l’uscita.
Da quel giorno, quella canzone risuonò nello scantinato, facendogli compagnia e ricordandogli i momenti trascorsi con William.

Alex ritornò al presente, la canzone dei Verve risuonava in tutto il locale, strinse i pugni, non voleva ascoltarla, era troppo doloroso. Scattò in piedi e si diresse verso il jukebox e cercò di cambiare canzone, ma non ci riuscì. Premette con forza il pulsante, cominciò a colpire con un pugno, ma non si bloccò.
“Ehi”urlò il barista da dietro il bancone “che cazzo fai?”
“Cambia”urlò colpendo il vetro con un pugno “non voglio sentirla!”
“Ehi, datti una calmata, amico”lo raggiunse con gli occhi fuori dalle orbite, gli stava distruggendo il jukebox e quello era un pezzo raro “lo sai quanto costa, brutto idiota?”cercò di bloccarlo.
“Non mi interessa, fai terminare questa canzone”replicò divincolandosi “o ci penserò io”
“È meglio che te ne vada, sei troppo giù di giri per i miei gusti”lo afferrò per un braccio e cercò di spingerlo verso l’uscita, ma Alex si liberò e afferrò una sedia deciso a romperla su quell’aggeggio per lui infernale.
“No, non osare”urlò il giovane sconvolto al pensiero dei danni che avrebbe potuto procurare.
Due uomini seduti ad un tavolo intervennero e lo bloccarono per entrambe le braccia facendo cadere la sedia sul pavimento. Fu trascinato verso un tavolo “Lasciatemi”si divincolò, ma nella foga di liberarsi colpì con un pugno un boccale che si trovava su un tavolo e lo ruppe ferendosi una mano “Cazzo”imprecò provando dolore e vedendo il sangue che colava sul legno.
“Merda”mormorò uno dei due uomini, un tipo grosso con una coda di cavallo e gli occhi piccoli e ravvicinati “Prendete qualcosa per fermare il sangue”urlò.
Il giovane barman gli porse un asciugamano che fu appoggiato sulla ferita, poi si diresse verso il telefono e compose il 911.
La canzone terminò, Alex sedette su una sedia stringendo l’asciugamano alla ferita, si era calmato finalmente, ma i due uomini continuarono a tenerlo d’occhio per evitare altri problemi fino a quando non giunse la polizia che lo portò via.


William ripensò agli avvenimenti di quella giornata così movimentata, Ian si era presentato a casa sua e gli aveva dichiarato il suo amore e Amber gli aveva dato la notizia scioccante che tra lei e Alex c’erano dei problemi e che lui era partito chissà dove per restare lontano. Sospirò, pensando a lui, dove poteva essere in quel momento? Gli mancava da morire e desiderava confessarglielo, era stanco di reprimere quello che provava.
In quel momento nella stanza risuonò una melodia, si guardò intorno, ma da dove veniva? Si alzò, sembrava la suoneria di un cellulare, ma non era di certo la sua. Cercò tra i cuscini del divano, era vicina, infilò la mano sotto un cuscino della poltrona e lo trovò. Era un piccolo cellulare rosa, Amber doveva averlo lasciato quando era passata da lui.
Guardò il display e fremette, si trattava di Alex, stava telefonando ad Amber, si morse un labbro, questo significava che non erano così in rotta come lei temeva. Fece un profondo respiro e rispose “Pronto, Alex?”
Dall’altra parte della linea sentì un gemito “Will?”
“Alex”la voce era ansiosa, desiderava chiedergli di tornare.
“Perché rispondi tu al telefono di Amber? Cosa succede? Dov’è?”
“In ospedale, credo. Lo ha dimenticato qui quando è venuta oggi”gli spiegò.
“Perché è venuta da te?”era sospettoso, poté percepire un velo di gelosia.
“Desiderava prendere in prestito una mia raccolta, Alex, dove sei?”
Silenzio. William strinse le labbra, non voleva che lo sapesse, ma lui insistette, non si sarebbe arreso così facilmente “Alex? Dimmi dove sei”
“Sono in prigione, Will”rispose.
“Cosa?”sgranò gli occhi “In prigione? Alex, ma cosa hai combinato?”
“Lascia perdere, puoi avvertire Amber e chiederle di venire a tirarmi fuori?”gli domandò.
“Vengo io, piccolo, dimmi dove sei e arrivo”dichiarò senza esitazione “Amber è in ospedale e non saprei come avvertirla e poi, è troppo lontana, vengo io”
“Vieni tu?”era titubante “Non so se…”balbettò incerto.
“Sì, non posso lasciarti in quel posto, vengo a prenderti, dimmi dove sei”insistette “Ti prego, Alex, so che sei arrabbiato con me, ma lasciati aiutare”
“Sono a Newark”mormorò “e non sono arrabbiato con te, Will”
Queste parole gli procurarono una gioia immensa, allora non tutto era perduto “Aspettami, tra poco sarò lì”
“Grazie, sei un vero amico”
Sorrise e riattaccò, il cuore sembrò esplodergli nel petto. Prese il portafogli, probabilmente, sarebbero serviti molti soldi, poi afferrò la giacca e le chiavi della macchina e uscì.
Si precipitò in macchina e partì, non poteva perdere neanche un istante, Alex era in prigione con chissà quale delinquente e solo il pensiero lo terrorizzava.
Giunse a Newark in poco tempo, in fondo, era una cittadina vicina, Alex non si era allontanato di molto. Parcheggiò davanti alla stazione di polizia e si precipitò all’interno. Lo informarono che lo il giovane era stato arrestato per ubriachezza molesta e per aver semidistrutto un locale e che avrebbe dovuto pagare una cauzione. Quelle dichiarazioni lo sconvolsero, non era da Alex comportarsi in quel modo, forse erano stati i problemi con Amber a portarlo a bere. Pagò la cauzione e attese con il cuore in gola.
Finalmente, dopo un’attesa che a William apparve interminabile, Alex apparve, sulla soglia. Il suo aspetto era spaventoso, gli occhi rossi e gonfi, una mano fasciata e i capelli spettinati, la camicia, poi, era semi strappata.
William sgranò gli occhi, ma che gli era accaduto? Era stato in cella poche ore, ma sembrava ci avesse passato giorni interi. Quando i loro sguardi s’incrociarono niente ebbe più importanza, gli andò incontro e lo abbracciò “Alex, finalmente”sospirò stringendolo “non puoi capire quanto sono stato in ansia”.
“Will”ricambiò l’abbraccio affondando il volto nel suo collo “scusami per averti costretto a venire”
“Non dirlo neanche per scherzo, non avrei mai potuto lasciarti in questo posto”
“Cosa è accaduto alla mano?”gli domandò poi preoccupato.
“Niente, ho rotto un boccale di birra, ma mi hanno medicato, non mi fa più male,”
“È grave? Lasciami vedere”cercò di prendergli la mano, ma lui l’allontanò, sentiva su di loro tutti gli sguardi dei poliziotti presenti “Possiamo solo andare via?”lo supplicò quasi.
“Certo, ho sistemato tutto”
“Ti restituisco tutto quando arriviamo a casa, Will”gli promise.
“Non pensarci ora, piccolo, andiamo”e lo trascinò via senza curarsi degli sguardi del poliziotto che si trovava dietro la scrivania.
Una volta in auto, William non accese il motore, si voltò verso di lui e gli domandò “Cosa è accaduto? Mi hanno detto che hai distrutto qualcosa in un locale. E questa? Come te la sei ferita?”gli sfiorò la mano fasciata.
“Te l’ho detto, ho colpito un bicchiere, anzi era un boccale, si è rotto e il vetro mi ha ferito”gli spiegò restando sul vago, non voleva conoscesse il vero motivo per il quale aveva agito in quel modo “Avevo bevuto”
“Perché?”
Il giovane non rispose e William sospirò “Alex, perché non vuoi confidarti con me?”
“Lascia perdere, Will”
“Capisco, sei ancora arrabbiato”sospirò demoralizzato “mi dispiace, sei importante per me, più di quanto tu creda”
“Lo so”
William si voltò verso Alex “Davvero?”
“Sì, altrimenti non saresti qui, con me”negli occhi una strana luce.
I due si fissarono per qualche istante, poi William mormorò “Andiamo, hai bisogno di dormire, dove alloggi?”
“Parker hotel, non è molto lontano”
Annuì e mise in moto l’auto.

1 commento:

sam ha detto...

oh!!! e con questo racconto sono di nuovo a paro.
bello!!!!
cavoli, prima steven, poi Ian... (che str..., però come dargli torto, chi non sarebbe geloso di will... lo descrivi praticamente perfetto! in tutto!!!) adesso Alex gli dice che non è arabbiato con lui, che sa di essere importante, e che will è importante per lui, Amber è stata "mollata" (poverina però... che dici ci sarà un chiarimento?)... cmq una cosa caratterizza i tuoi racconti. il buonismo. ho l'impressione che i personaggi sono sempre così buoni, anche se le loro vite si sfasciano, si modificano, si intrecciano, si preoccupano di cambiare con una certa calma, che per quanto la cosa possa essere destabilizzante, non faccia cadere nel baratro chi sta per essere mollato.
a parte will al quale viene strappato il cuore, ma questo succede in passato, tra amber e alex finisce per i soliti motivi, mancanza di tempo da condividere, incomunicabilità e gelosia. una sana verità alla Ian, uno... ah ah! tana! ti ho colto sul fragante! wow che doccia fredda... non so se mi sono riuscita a spiegare. cmq... nel mentre che aspetto che posti un altro capitolo cerco di mettermi a paro anche con destiny. ciao!!!